IL COMMENTO DEL CODS ALLE PAROLE DI DURIGON

Orietta Armiliato ha commentato, sulla pagina Facebook di Claudio Durigon, le parole del sottosegretario al Lavoro nell’intervista sui principali temi di riforma pensioni rilasciata a pensionipertutti.it. Scrive l’amministratrice del Comitato Opzione donna social: “Grazie Sottosegretario sia da parte mia, sia delle circa 5200 donne che tramite il Cods rappresento. Apprezziamo molto il fatto che lei voglia sostenere un’estensione quanto più possibile inclusiva della proroga dell’Opzione Donna. Tuttavia se si arrivasse al 2023 (ultimo anno nel quale avrebbe senso) proprio in virtù del fatto che è opzionale e poi si chiudesse in maniera tombale, sarebbe davvero un gran bel passo in avanti anche per eliminare lo stillicidio angosciante del ‘di anno in anno’ e, perché no, ‘recuperare’ un po’ il poco interesse e la conseguente delusione dimostrata lo scorso anno, rispetto ai problemi delle lavoratrici. Rileviamo, altresì e ne siamo lietissime, l’attenzione che state ponendo al riconoscimento del ‘lavoro di cura’, che è uno degli obiettivi che ci siamo poste da sempre nel nostro Comitato anche se, rivolgersi solo alle lavoratrici che sono anche madri, ci sembra iniquo e discriminante. Siamo certe che accoglierà queste nostre costruttive critiche”.



DURIGON E GLI ESODATI

In tema di riforma pensioni vanno registrate le parole di Claudio Durigon, nell’intervista rilasciata a pensionipertutti.it, relative agli esodati ante-Fornero rimasti esclusi dalle otto salvaguardie. “Credo che la mia struttura sia quella che, nell’attuale Governo, in questi mesi ha maggiormente dialogato con il mondo di rappresentanza di questi cittadini che, seppur in modo differenziato, esprimono il disagio di chi, ormai alla soglia dei 60 anni ed anche di più, è fuoriuscito dal mercato del lavoro da circa 7 anni e, non avendo più versato contributi previdenziali, né avendo opportunità di nuovi ingressi nel mercato del lavoro, ha una evidente difficoltà a raggiungere il traguardo dell’agognata pensione”, ha detto il sottosegretario al Lavoro, specificando che si tratta “di un problema dall’evidente impatto sociale, che non può assolutamente lasciare indifferente il Governo. Per questo, anche se l’Inps non riesce a trovare questo famoso bacino, stiamo trovando alternative per dare  a questi cittadini risposte soddisfacenti”.



DURIGON SU OPZIONE DONNA

Nella sua intervista a pensionipertutti.it, Claudio Durigon ha parlato di un altro tema caldo di riforma pensioni, ovvero la proroga di Opzione donna. “Come ho dichiarato in più occasioni il Governo garantisce l’opzione donna anche per tutto il 2020 ed è allo studio che, nella proroga dell’istituto, si effettuerà anche una valutazione di merito pensata per estendere la platea delle beneficiarie”, ha detto il sottosegretario al Lavoro, specificando che “l’idea è di riconoscere il lavoro di cura nella maturazione dei requisiti di legge, ad esempio garantendo dei bonus figurativi di sei mesi oppure di un anno per ogni figlio”. Un sistema che dunque non aiuterebbe le donne che non hanno avuto figli, ma che hanno comunque svolto dei lavori di cura magari assistendo un parente gravemente malato. Durigon ha ricordato che Opzione donna comporta il ricalcolo contributivo dell’assegno pensionistico e che mediamente, per le italiane che hanno già usufruito di questa forma di anticipo pensionistico, l’importo medio della pensione è pari a circa 1.000 euro.



QUOTA 41, LE CONFERME DI DURIGON

Claudio Durigon torna a parlare di Quota 41. In un’intervista sul tema di riforma pensioni concessa a pensionipertutti.it, il sottosegretario al Lavoro ha ricordato che già da quando è stata introdotta Quota 100, “in realtà l’obiettivo era, fin dall’inizio, un altro e cioè arrivare a Quota 41. La proposta, presentata dall’Esecutivo sulla base del contratto di governo ha alla base l’idea di abbassare il requisito contributivo in 41 anni e renderlo uguale per tutti i lavoratori: questi, indipendentemente dall’età anagrafica, potrebbero andare in pensione con tale periodo di contribuzione versata e senza applicazione di alcuna penalizzazione”. Tuttavia si tratta di una riforma “decisamente costosa, motivo per cui il governo giallo-verde ha potuto per il momento fermarsi ad introdurre Quota 100 in sperimentazione per il triennio 2019-2021”. Quota 41, quindi, non arriverà “nel breve termine, ma rientra a pieno titolo tra le principali priorità da realizzarsi entro la presente legislatura”. Parole che sono in linea con quanto aveva già detto sul tema il leader della Lega Matteo Salvini.

LA PROTESTA DELLA CIDA

Continuano a far discutere le misure di riforma pensioni che hanno colpito, mediante il contributo di solidarietà e il blocco parziale delle indicizzazioni, diversi pensionati. Secondo quanto riportato dal sito di Manageritalia, Mario Mantovani, presidente di Cida, la confederazione dei dirigenti e delle alte professionalità, ha commentato i dati del Centro studi Itinerari previdenziali sulle entrate fiscali 2017 evidenziando che “il 12% dei contribuenti italiani versa quasi il 58% dell’Irpef nazionale: in quella percentuale ci sono dirigenti, professionisti, manager privati e pubblici, in servizio e in pensione, sui quali si accanisce una campagna mediatica che li dipinge come dei privilegiati e sui quali si concentrano sempre nuovi interventi legislativi di riduzione del reddito. È il caso delle pensioni di importo medio-alto, con il mancato adeguamento all’inflazione e il cosiddetto contributo di solidarietà, ma anche di proposte che puntano a ridurre deduzioni e detrazioni fiscali per i percettori di redditi medi”.

QUOTA 100 E GLI EFFETTI SULLA MANOVRA

L’incontro di ieri tra Conte e i sindacati ha trattato solo marginalmente i temi di riforma pensioni. Principalmente uno degli obiettivi del Premier era anche cominciare ad aprire la strada alla messa a punto della manovra. Tuttavia, come spiega il sito del Sole 24 Ore, non si potrà fare nulla di concreto “prima di settembre, quando arriveranno i dati aggiornati sulle entrate fiscali e sulle spese effettive per reddito di cittadinanza e pensioni, dati chiave da cui partire per il programma da inviare a Bruxelles”. Da come andranno le adesioni a Quota 100, dunque, dipenderà anche il quadro della prossima Legge di bilancio, considerando che buona parte dei risparmi sono già stati impegnati nell’aggiustamento di bilancio che è servito a evitare la procedura d’infrazione all’Italia. Il quotidiano di Confindustria spiega poi che per evitare l’aumento dell’Iva il Governo si muove su tre direttrici: “la spending review, che dovrà agire su uscite ‘valutate complessivamente nell’ordine di 320 miliardi’, il taglio di deduzioni e detrazioni, lavorando su ‘un perimetro che abbiamo definito in 50 miliardi’ e gli effetti 2020 prodotti dall’aumento delle entrate fiscali e dalle minori spese per reddito e pensioni”.

L’IMPORTO DELLE PENSIONI DI CITTADINANZA

Oltre che la Quota 100, la riforma pensioni ha introdotto la pensione di cittadinanza, che da alcuni commentatori viene giudicata un flop. Secondo i dati Inps riportati da Mf-Dow Jones, se per il reddito di cittadinanza l’importo medio della prestazione erogata è pari a 526 euro al mese, nel caso delle pensioni di cittadinanza il dato scende a 207 euro. L’Istituto nazionale di previdenza sociale ha fatto anche sapere che alla data del 17 luglio risultano pervenute, tra reddito e pensione di cittadinanza, 1,4 milioni di domande, di cui 905.000 accolte, 104.000 in lavorazione e 387.000 respinte o cancellate. “I nuclei familiari che percepiscono reddito e pensione di cittadinanza si concentrano nelle regioni del Sud e nelle Isole, raggiungendo il 61% del totale delle prestazioni erogate, seguono le regioni del Nord con il 24% ed infine quelle del Centro con il 15%, mentre “la regione con il maggior numero di nuclei percettori di reddito/pensione di cittadinanza è la Campania (19% delle prestazioni erogate), seguita dalla Sicilia (17%), dal Lazio e dalla Puglia (9%)”.

RIFORMA PENSIONI, IL RUOLO DELL’INPS

Di fatto, durante la presentazione dell’ultimo Rapporto Inps, è stata presentata una sorta di riforma pensioni per far sì che ci sia un fondo pubblico di previdenza complementare gestito dall’Inps. Una proposta che non piace a Enrico Cisnetto, che su terzarepubblica.it scrive: “È vero, siamo il secondo paese più vecchio al mondo, che fa sempre meno figli e con assegni pensionistici progressivamente sempre più magri. E dove purtroppo le forme di previdenza complementare, che potrebbero limitare i danni, riscontrano livelli di adesione ancora troppo bassi. Ma ciò non significa che la terapia indicata dal presidente dell’Inps sia corretta”. Dal suo punto di vista, infatti, “se non si vuole cedere all’ideologia statalista e se il pubblico può e davvero intende sostenere il sistema previdenziale nel suo complesso, deve pensare ad altri incentivi, a partire da quelli fiscali”.

LE PAROLE DI CISNETTO

Cisnetto ricorda anche che “l’Inps già svolge numerosi e complessi ruoli e forse non è adatto a questo. Perché un conto è erogare le prestazioni previste dalla legge in un sistema a ripartizione, un altro è investire con profitto risorse di un fondo a capitalizzazione nelle turbolenze dei mercati finanziari”. Il giornalista economico non dimentica che “Fondinps, fondo residuale composto da 40mila tfr di lavoratori silenti che non hanno optato per nessuna forma integrativa, visti gli scarsi risultati ottenuti, è stato chiuso con l’ultima legge di Bilancio. Anche per questo non si capisce come l’Inps possa oggi diventare una ‘valida alternativa’ agli attuali schemi privati se non è stato in grado di valorizzare nemmeno un piccolo fondo residuale”.