LA QUOTA 92, CHI ADERIREBBE?
Dopo averla accennata e introdotta nell’ottobre 2020 dal senatore Pd Tommaso Nannicini, il collega Graziano Delrio l’ha fissata come uno dei punti allo studio della prossima riforma pensioni: si tratta della cosiddetta Quota 92, in grado secondo i dem di sostituire al meglio e in meglio la legge Quota 100 in scadenza a fine 2021. L’età contributiva scende dall’attuale 38 anni di Quota 100 a 30 anni mentre gli anni di anzianità sarebbero 62: rispetto però a Quota 100, tale pre-pensionamento avverrebbe con una forte penalizzazione sugli assegni pensioni dei prossimi anni per tutti coloro che decidano di aderire a tale possibile progetto. Possibile un taglio del 3% per ciascun anno di anticipo rispetto alle pensioni di vecchiaia, ma circola anche l’ipotesi al Ministero del Lavoro di un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno pensionistico, molto simile al meccanismo utilizzato per “Opzione Donna”. La Quota 92, infine, sarebbe riservata a lavoratori fragili e usurati oltre che alle stesse donne. (agg. di Niccolò Magnani)
PENSIONI SCUOLA, LA RICHIESTA DELL’ANIEF
Dopo il Patto sul rinnovo contrattuale siglato da sindacati, Premier Draghi e Ministro della PA Brunetta, il presidente nazionale del sindacato Anief Marcello Pacifico commenta su Orizzonte Scuola le prossime richieste sul fronte pensioni, in attesa di una riforma strutturale comunque imminente nei prossimi mesi per via della scadenza di Quota 100. Serve un’indennità di rischio Covid per i lavoratori del mondo scuola, ma il n.1 di Anief pone più condizioni: « Bisogna, rispetto a chi deve garantire per lo Stato un servizio che è a rischio biologico, Covid oggi, Burnout ieri e domani, prevedere delle specifiche voci e delle finestre per il pensionamento». Tenuto conto della classe insegnante più vecchia del mondo secondo gli ultimi studi del settore, conclude il Presidente Pacifico «non possiamo permetterci oggi di disquisire se a 65 anni si deve fare il vaccino: si dovrebbe andare in pensione a 63 anni senza penalizzazioni». (agg. di Niccolò Magnani)
RIFORMA PENSIONI, I DATI OCSE
Un rapporto dell’Ocse ribadisce l’esistenza di un divario di genere nel sistema pensionistico che nei Paesi industrializzati arriva mediamente al 26%, ma che in Italia raggiunge il 32%. Come spiega Radiocor, il gender gap è più elevato in Giappone (47%) e si attesta intorno al 40% in altri Paesi europei come Austria, Lussemburgo, Olanda e Regno Unito. Il Paese in cui il divario di genere è più ridotto (3,3%) è l’Estonia, seguita dalla Repubblica Slovacca (7,6%) e dalla Danimarca (10,6%). C’è tuttavia da notare che il divario in Italia nel 2000 era del 29% ed è dunque aumentato nel tempo, a causa anche della minor partecipazione al mercato del lavoro e al ricorso a contratti part-time con l’obiettivo spesso di cercare di conciliare lavoro e famiglia.
IL GENDER GAP NELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE
Nel rapporto Ocse emerge anche che solo il 9% delle donne italiane ha piani previdenziali privati o aziendali contro il 15% degli uomini. Pare anche che la platea femminile opti per soluzioni più conservatrici e meno rischiose negli investimenti, facendo sì che alla fine gli asset previdenziali privati accumulati dagli uomini risultano superiori a quelli delle donne. Dall’organizzazione con sede a Parigi arrivano quindi indicazioni di riforma pensioni anche per quel che riguarda la previdenza complementare, con la raccomandazione non solo di una maggiore ed equa partecipazione delle donne al lavoro, ma anche di una “loro partecipazione ai piani previdenziali privati o aziendali con incentivi ed educazione finanziaria”, adattando “la struttura dei piani pensionistici ai percorsi lavorativi delle donne, permettendo maggiore flessibilità nei contributi e con costi contenuti”.