RIFORMA PENSIONI. In prossimità della Legge di bilancio è ripartito il dibattito sulle pensioni, reso più “caldo” dalla scadenza a fine anno di “quota100”. Del tema questo giornale si occupò già mesi fa e ha continuato a farlo, anche con un recente editoriale.
È forse inevitabile che la discussione si coaguli intorno al reale problema della sostenibilità economica del sistema pensionistico, giocato soprattutto nella prospettiva dei tempi di uscita dal lavoro (età pensionabile). Peraltro, come pure è stato notato da queste pagine, c’è anche un tema di effettività della tutela, legato, in particolare, alla bassa promessa pensionistica delle pensioni totalmente o in gran parte contributive: in tal caso, il discorso cade essenzialmente sulle modalità di calcolo dei trattamenti.
In ogni caso, oggi come ieri il grande assente sono “i mezzi adeguati alle esigenze di vita” che devono essere “preveduti e assicurati” ai lavoratori. Si tratta dell’unica condizione concreta che l’art. 38, comma 2, Cost. pone come d’attuazione doverosa al legislatore ordinario. Eppure, oggi come ieri o, forse, più di ieri non è mai stata consapevolmente al centro delle scelte politiche sui livelli di prestazione, ispirate ad altre preoccupazioni. Né hanno offerto un contributo positivo altri attori, come le forze sociali, la magistratura o la dottrina.
L’esito è che la misura dei trattamenti dipende essenzialmente dai criteri di calcolo, con almeno due conseguenze: a) che a parità di requisiti le pensioni sono ritenute comunque adeguate, nonostante la (notevole) differenza di ammontare derivante dal criterio di calcolo – retributivo (l. 153/1969) verso contributivo (l. n. 335/1995) – adottato; b) che entrambi i criteri, pur in misura diversa, legano l’entità del trattamento ai livelli di retribuzione/contribuzione, cosicché se questi sono bassi o, come spesso accade oggi, discontinui, non è detto che i mezzi adeguati siano assicurati.
Ma che cosa sono o come si identificano i “mezzi adeguati” e le “esigenze di vita” e chi deve fissarli? La risposta a quest’ultima domanda è semplice, spetta al legislatore. Molto più difficile, invece, forse un vero rompicapo, è la risposta all’altra domanda.
Non c’è dubbio che in quella formula d’alta idealità i Padri della Costituzione condensarono il preciso obiettivo di assicurare ai lavoratori livelli di trattamento superiori a quelli previsti dal sistema di assicurazioni sociali sviluppato in epoca fascista: livelli che in genere non erano in grado di coprire neppure le esigenze minime per vivere, ossia il “mantenimento”, che ora l’art. 38, comma 1, Cost. riserva ai “cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere”.
Ai lavoratori – tutti i lavoratori, non soltanto subordinati – spetta un quantum di trattamento più elevato del solo mantenimento, a soddisfazione di esigenze ulteriori a quelle vitali, pur se l’intenzione dei Costituenti non era neppure di garantire i livelli retributivi conseguiti con l’attività lavorativa laddove elevati, cioè il tenore di vita raggiunto.
Per quanto siano molteplici i fattori che rendono complicato dare sostanza alla formula costituzionale, questa richiederebbe la definizione di una soglia minima e di un tetto massimo di prestazione adeguata, così da: a) offrire certezza sulle aspettative pensionistiche dei lavoratori, sottraendola al logorio di una discrezionalità tradotta nello stillicidio di norme eccezionali di temporanea riduzione dei trattamenti acquisiti; b) garantire l’eguaglianza tra lavoratori, riconoscendo, peraltro, anche uno spazio al merito lavorativo di ciascuno; c) evitare l’erogazione di trattamenti eccessivamente elevati, ché non è compito dello Stato garantire il tenore di vita conseguito col proprio lavoro; d) consentire l’effettiva libertà della previdenza privata, compressa laddove troppo alta sia la promessa pensionistica pubblica; e) rendere trasparente il costo del sistema pensionistico, anche in prospettiva intergenerazionale.
Certo, le finanze pubbliche sono oggi più che mai sotto pressione, ma c’è da chiedersi quale sia il costo reale di una legislazione a getto continuo e dagli obiettivi contingenti. Forse occorrerebbe cominciare ad andare oltre, per comprendere se quella richiesta dalla Costituzione è un’utopia o una prospettiva realizzabile.
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