RIFORMA PENSIONI E QUOTA 100: LA PROPOSTA IN AVANTI DI FRANCO

MANOVRA E RIFORMA PENSIONI. Calma e gesso. Il tormentone delle pensioni non è ancora arrivato al capolinea. Nelle riunioni che hanno preso in esame il Dpb all’interno del Governo si sono riscontrate delle opinioni differenti dopo la scadenza – alla fine dell’anno – di Quota 100. Il ministro Daniele Franco si era presentato con una proposta di mediazione che non  aboliva il sistema delle quote ma superava Quota 100 “in avanti” come peraltro aveva indicato la Corte dei Conti in un recente Rapporto di coordinamento della finanza pubblica. Lo scalone veniva mitigato con due scalini intermedi: Quota 102 (64 anni di età + 38 di versamenti) a partire dal 2022 e Quota 104 (66 e 38?) dal 2023.



Se le informazioni corrispondono al vero, il Mef non si è accorto di aver commesso un errore tecnico-normativo. Tra uno scalino e l’altro dovrebbero trascorrere almeno due anni, altrimenti i soggetti che nel 2022 non raggiungessero i requisiti previsti si troverebbero l’anno successivo intrappolati dal loro incremento e così passerebbero direttamente al regime di Quota 104. Poi viene spontanea un’ulteriore riflessione: che senso avrebbe prevedere una forma di pensionamento anticipato un anno prima che maturi l’età di vecchiaia (67 anni)? 



Restano da chiarire alcuni aspetti. A quanto pare Franco non si è fatto incantare dal “fascino discreto” del ricalcolo contributivo, né dalle trovate dell’impareggiabile Pasquale Tridico che insiste nel proporre una liquidazione della pensione in due tempi: prima con modalità anticipate la quota contributiva, poi, al raggiungimento dei requisiti “pieni” si aggiungerebbe la quota in regime retributivo. Un proposta questa che penalizzerebbe i soggetti che detengono nella loro storia lavorativa più lunghi periodi calcolati col metodo retributivo secondo quanto prevedevano le norme vigenti. 



Non si è capito, ancora, se a Quota 102 si aggiungerà anche l’estensione della platea dei soggetti che possono usufruire dell’Ape social secondo le proposte della Commissione Damiano che ha aperto, sia pure con lo stratagemma della graduatoria dei disagi una prateria all’anticipo della pensione tramite l’Ape. È poi il caso di dare un altro suggerimento: se si intende tornare a un sistema di quote è tecnicamente opportuno aggiungere un po’ di flessibilità nei due requisiti (per esempio, anche 63 e 39) perché l’esperienza di Quota 100 ha insegnato che è difficile azzeccare contemporaneamente l’ambo  e quindi si finisce per accumulare una maggiore età o una maggiore anzianità contributiva. 

Ci dovrebbe poi essere la preoccupazione di non ingolfare il traffico nell’area del pensionamento anticipato. Ammesso e non concesso che Mario Draghi anche in questo caso decida di gettare lo spadone di ferro sulla bilancia e la soluzione sia quella proposta dal Mef, le vie d’uscita per la quiescenza si trasformano in una groviera. Facciamo il punto. Sono previsti: a) un pensionamento anticipato ordinario con 42 anni e 10 mesi e un anno in meno per le donne (i requisiti restano bloccati fino al 2026) a prescindere dall’età anagrafica; b) forse non sarà riconfermata la proroga di Opzione donna: 58 anni e 35 di contributi col ricalcolo contributivo; c) i precoci con 41 anni di anzianità nei casi di particolari condizioni di lavoro, personali e familiari; d) poi c’è il pacchetto dell’anticipo attraverso l’indennità Ape (+Rita se il soggetto è iscritto a un fondo pensione). 

Tranne  nel caso di Opzione donna,  nel sistema misto sono gli uomini a potersi avvalere in grande prevalenza  di questo rosario di anticipi. Alle donne (che soprattutto nei settori privati stentano ad accumulare un’anzianità di servizio elevata)  resta la pensione di vecchiaia (67 anni con almeno 20 di contribuzione). Peraltro, per la vecchiaia ha continuato a operare l’adeguamento automatico  all’attesa di vita che è stato congelato fino al 2026 per i requisiti del trattamento di anzianità. In sostanza, se ci riuscisse, Draghi si limiterebbe a rattoppare lo strappo vistoso che il Governo giallo-verde ha inferto al sistema. Questa è la prova che gli viene incessantemente richiesta in Europa e dall’Ocse (proprio in questi giorni l’organizzazione dei Paesi più sviluppati è tornata a ricordare in audizione in Parlamento che l’Italia ha una spesa pensionistica e un servizio del debito (le due questioni sono collegate) troppo elevati). 

Ma Draghi potrebbe rispondere: “Che cosa volete da me? Persino Giancarlo Giorgetti si è messo di traverso”. Il ministro del Mise ha compiuto un estremo tentativo di difendere Quota 100 nei settori privati, scaricando l’incremento solo sul pubblici impiego. Chissà se Renato Brunetta – che vuole svecchiare la Pa – ha protestato. Se ci è consentito un ulteriore suggerimento – indotto da una triste constatazione: “Non c’è trippa per i gatti” – ai tecnici del Mef, li invitiamo a consultare il pdl Ac2588 a prima firma di Claudio Durigon, seguita da altri deputati del Carroccio, compreso il capogruppo a Montecitorio, e presentato a gennaio di quest’anno.  L’articolo 2 prevede – si legge nella relazione – di mantenere l’accesso alla pensione Quota 100 per i soggetti che svolgono i lavori usuranti individuati con i criteri già in uso ai fini dell’accesso all’Ape sociale o alla pensione per i lavoratori precoci, eliminando però il meccanismo delle “finestre di attesa”. Posto che tali soggetti sono generalmente già destinatari del sistema misto di calcolo della pensione, si propone che anche tale prestazione venga liquidata integralmente con il sistema contributivo. Tombola. 

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