RIFORMA PENSIONI. Dimenticata da anni dalla politica, malvista dal governo giallo-verde che – al dunque – è quello che finora ha svolto il ruolo di mazziere al tavolo della riforma pensioni, la previdenza complementare è stata ignorata persino dalla pandemia. È quanto emerge dal “biglietto da visita” della relazione della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP: attenti a non mettere una D al posto della P) presentata ieri e illustrata dal presidente Mario Padula.
“A uno sguardo d’insieme – è nello stesso tempo l’incipit e la sintesi del documento – l’impatto della pandemia sul sistema italiano della previdenza complementare appare abbastanza limitato. Dal punto di vista organizzativo il sistema ha reagito con tempestività ricorrendo al lavoro a distanza e rafforzando i canali telematici di scambio di informazioni con il sistema delle imprese, con i gestori finanziari e i fornitori di servizi e con gli stessi iscritti. La raccolta dei contributi è continuata con regolarità, mantenendo una tendenza alla crescita e mostrando un lieve calo dei dati aggregati solo nel secondo trimestre; sul versante delle uscite non si sono registrate maggiori richieste di anticipazioni e riscatti, che anzi hanno mostrato una lieve diminuzione. A fine anno, grazie ai recuperi registrati dai mercati, i risultati della gestione finanziaria sono stati nel complesso positivi. La tenuta del sistema fin qui dimostrata andrà confermata (è più o meno la solita storia, ndr) una volta che verranno meno le misure di contenimento delle ricadute occupazionali della pandemia”.
Prima di entrare nel merito dei singoli aspetti è opportuna una considerazione di massima. Negli ultimi anni, insieme a un lento progredire delle adesioni e dell’ammontare delle riserve destinate alle prestazioni, si erano notati consistenti fenomeni di sospensione dei contributi da parte di iscritti “in sonno”. Se, come sostiene la relazione, “la raccolta di contributi è continuata con regolarità” e “non si sono registrate maggiori crescite di anticipazioni e riscatti” si tratta di segnali importanti, che denotano anche una capacità di tenuta dei lavoratori e delle loro famiglie, grazie anche alle politiche di sostegno effettuate nell’annus horribilis a favore soprattutto dei lavoratori dipendenti che sono poi i maggiori utenti, grazie alla possibilità del finanziamento della propria posizione tramite il versamento del TFR. Del resto è nota la propensione al risparmio dimostrata dalle famiglie italiane in regime di pandemia. Sembra pertanto logico che non sia venuto meno l’interesse per una forma di risparmio tra le più convenienti e di maggiore prospettiva come la previdenza privata a capitalizzazione.
Alla fine del 2020, il sistema di previdenza complementare conta 372 forme pensionistiche (otto in meno dell’anno precedente) per complessivi 8,445 milioni di iscritti, il 2,2% in più rispetto al 2019; in rapporto alle forze di lavoro, essi rappresentano il 33%. A tale numero di iscritti corrisponde un numero di posizioni in essere di 9,342 milioni: a ogni 10 iscritti si riferiscono, mediamente, 11 posizioni, proporzione che risulta in linea con quanto osservato da quando sono operative le nuove segnalazioni che permettono tale distinzione.
Le risorse complessivamente destinate alle prestazioni, 197,9 miliardi di euro, si sono accresciute del 6,7% rispetto al 2019, ragguagliandosi al 12% del Pil e al 4,1% delle attività finanziarie delle famiglie italiane.
L’aumento delle risorse accumulate, 12,5 miliardi di euro, è stato determinato da contributi per 16,5 miliardi, a fronte di uscite per prestazioni e altre voci della gestione previdenziale per 8,6 miliardi; il saldo della gestione finanziaria è stato positivo per circa 4,6 miliardi di euro. Escludendo dal computo i fondi preesistenti, i costi complessivi di gestione, che sono dedotti dalle risorse e quindi incidono negativamente sulla loro accumulazione, sono stimabili in 1,155 miliardi di euro: per più della metà (697 milioni) essi gravano sul settore dei PIP, sono pari a 292 milioni per i fondi aperti e ammontano a 166 milioni di euro per i fondi negoziali, incidendo quindi in proporzione alle risorse in misura nettamente minore rispetto alle forme di mercato. Per i fondi preesistenti, la stima dei costi complessivi è resa più difficile per la loro eterogeneità strutturale, e in particolare per la rilevante quota delle risorse detenuta sotto forma di riserve matematiche presso imprese di assicurazione, il cui costo è inglobato nel rendimento retrocesso.
Le 372 forme pensionistiche complementari operanti nel sistema a fine 2020 sono così ripartite: 33 fondi pensione negoziali, 42 fondi pensione aperti, 71 piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (PIP) cosiddetti “nuovi” e 226 fondi pensione preesistenti. Questi ultimi si compongono di 154 fondi autonomi, cioè provvisti di soggettività giuridica, e 72 fondi “interni”, ossia piani pensionistici costituiti come posta contabile nel bilancio di singole aziende (tipicamente bancarie o assicurative) e gestiti all’interno delle aziende stesse a favore di propri dipendenti. Nel totale non è più incluso FONDINPS a seguito del decreto di soppressione del marzo del 2020 e del successivo conferimento al fondo COMETA delle posizioni individuali dei lavoratori già iscritti e dei flussi futuri di TFR. Alla fine del 2020 sono 49 (36 nel 2015) le forme pensionistiche che dispongono di più di un miliardo di risorse accumulate. Esse comprendono 18 fondi negoziali, 8 fondi aperti, 9 PIP e 14 fondi preesistenti, raggiungendo nell’insieme risorse per 146 miliardi di euro ovvero il 76% dell’intero sistema (80,5 miliardi nel 2015, pari al 60% del totale).
Come abbiamo già notato in apertura, la pandemia è stata clemente con la previdenza complementare. Nel 2020 si è registrata una crescita degli iscritti, sebbene minore rispetto agli anni precedenti, per tutte le tipologie di forme pensionistiche.
A fine anno, gli iscritti ai fondi pensione negoziali sono 3,184 milioni, con una crescita pari al 2,9% rispetto al 2019; tale crescita si riduce all’1% al netto della confluenza dei circa 26.000 individui già iscritti a FONDINPS; era stata del 5% nel 2019. Circa 1,2 milioni del totale degli attuali iscritti è entrato a far parte di tale insieme tramite il meccanismo di adesione contrattuale, introdotto a partire dal 2015 e oggi applicato in 12 fondi. Come funziona questo meccanismo che rappresenta la sola novità apportata nel settore? Il datore di lavoro versa il contributo previsto dal contratto di riferimento a favore di tutti i lavoratori ai quali si applica tale contratto; il versamento affluisce al fondo individuato dalla contrattazione collettiva e, laddove il lavoratore non sia già iscritto, lo iscrive in modo automatico a tale fondo.
Nelle forme di mercato, i fondi pensione aperti contano 1,590 milioni di iscritti e i PIP “nuovi” 3,349 milioni; in termini percentuali, la crescita nell’anno, rispettivamente 4,9% e 2,6%, si raffronta al 6,1% e al 4,3% del 2019. Includendo anche i circa 339.000 iscritti dei “vecchi” PIP ed escludendo le doppie iscrizioni tra PIP “nuovi” e “vecchi”, il segmento dei piani individuali di tipo assicurativo conta 3,644 milioni di aderenti. Si aggiungono 617.000 iscritti ai fondi preesistenti.
Le risorse complessivamente destinate alle prestazioni dalle forme pensionistiche complementari ammontano a 197,9 miliardi di euro; in ragione d’anno, la crescita è stata del 6,7%.
I fondi negoziali totalizzano risorse per 60,4 miliardi e i fondi aperti 25,4 con incrementi, rispettivamente, del 7,5% e dell’11,1%. Nei piani individuali di tipo assicurativo sono accumulati nel complesso 46,1 miliardi di euro, di cui 39,1 miliardi presso i PIP “nuovi”, aumentati del 10,1% sul 2019. Per i fondi preesistenti le risorse di pertinenza sono 66,1 miliardi, il 3,6% in più rispetto al 2019. Da notare che i PIP raccolgono l’adesione di ben 2,1 milioni di lavoratori dipendenti a fronte di 650 mila autonomi: il che dimostra la presenza di una domanda di previdenza a capitalizzazione che i fondi negoziali non riescono ad intercettare (occorre però tenere presente il fenomeno delle c.d. adesioni plurime ovvero della stessa persona a forme differenti). Per quanto riguarda il lavoro autonomo, se si aggiunge al numero dei sottoscrittori di PIP, quello degli aderenti ai fondi aperti (circa 400 mila) si arriva al 93% degli iscritti.
In queste settimane, anche la Corte dei Conti (nel Rapporto di coordinamento della finanza pubblica 2021) si è occupata della previdenza complementare, rievocando il recente excursus storico del settore ed arrivando a conclusioni più problematiche di quelle della Covip: “Un importante salto si registra nel 2007 per i fondi pensione negoziali37; con l’entrata in vigore, infatti, della legge finanziaria per il 2007, il trasferimento del TFR ai fondi pensione è totale (100%) se la prima occupazione è successiva al 28 aprile 1993 e parziale se la prima occupazione è precedente a tale data. Dal 2007 e fino al 2015 si registra una sostanziale stasi, tranne che per i PIP nuovi, che viene interrotta nel 2015 con una nuova importante crescita (+25% rispetto al 2014 per i fondi negoziali; 8,8% per i fondi aperti e oltre il 10% per i PIP nuovi). Una fotografia degli ultimi dati disponibili mostra come oltre il 72 per cento delle posizioni in essere riguardi i fondi negoziali e i PIP nuovi; anche i fondi pensione aperti rappresentano una quota importante che supera il 17%. Seppur il numero di fondi preesistenti rappresenti quasi il 60% del totale dei fondi, minori sono le posizioni in essere (7% del totale) ad essi attribuiti; negli ultimi anni si assiste ad una riduzione del numero di fondi esistenti a seguito di fusioni, anche con riferimento alla spinta verso un ulteriore consolidamento della previdenza complementare”.
Secondo la Corte dei Conti, tuttavia, nei suoi effetti sociali ed economici, la previdenza a capitalizzazione in Italia è al momento condizionata da variabili macroeconomiche non favorevoli, dalla struttura e dalla coerenza complessiva del sistema pensionistico, da non adeguata informazione e consapevolezza dei lavoratori. La crisi del 2020 ha avuto un impatto importante anche sulla previdenza complementare, in termini di rendimenti resi dai fondi, che incidono sulla redditività del risparmio previdenziale. Si riafferma dunque – secondo il RCFP – l’esigenza di un sistema “multipilastro” e la necessità di rilanciare un comparto che dopo l’avvio della riforma sembra aver esaurito i suoi effetti propulsivi.
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