RIFORMA OPZIONE DONNA: COME FUNZIONA (DOPO LA MANOVRA)

La conferma è arrivata in Manovra 2022, come noto: la riforma pensioni di Opzione Donna è stata prorogata ancora per altri 12 mesi. È così possibile per le lavoratrici lasciare il lavoro in anticipo dal 31 dicembre 2021 se hanno maturato almeno 58 anni di età (59 se lavoratrici autonome) e 35 di contributi.



L’assegno viene calcolato dall’Inps in maniera del tutto contributiva con tagli dal 25% al 30% dell’importo finale (fino al raggiungimento dell’età prevista dalla riforma Fornero): «Ai fini del conseguimento della pensione è richiesta la cessazione del rapporto di lavoro dipendente. Non è invece richiesta la cessazione dell’attività svolta in qualità di lavoratrice autonoma», spiega l’Istituto. Ai fini del perfezionamento del requisito contributivo, infine, è valutabile la contribuzione «a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurata, fermo restando il contestuale perfezionamento del requisito di 35 anni di contribuzione al netto dei periodi di malattia, disoccupazione e/o prestazioni equivalenti, ove richiesto dalla gestione a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico». Per tempistiche di presentazione domanda e modalità di accesso, ecco la sezione dedicata dell’Inps a “Opzione Donna”. (agg. di Niccolò Magnani)



RIFORMA PENSIONI, GLI AUMENTI PIÙ BASSI PERCHÈ…

Con la rivalutazione degli assegni operata dal MEF per l’anno 2022, operata con la specifica componente della riforma pensioni inserita in Manovra, si vedranno aumenti proporzionati per l’intero anno appena cominciato.

Con una “lieve” differenza che non potranno non notare i pensionati nei primi due mesi (gennaio e febbraio): in sostanza, gli assegni per il momento risultano più bassi di quelli che arriveranno da marzo a dicembre. Il motivo? Come nota il focus di “Affari Italiani”, lo spiacevole effetto della rivalutazione è stata spiegata dall’Inps già con la fine dell’anno 2021. Per assicurare infatti un ricalcolo immediato sugli assegni – calcolato nell’1,7% di rivalutazione delle pensioni – per le prime due mensilità del 2022 la rivalutazione si basa ad ottobre 2021, ovvero all’1,6%. Ne consegue, il vero aumento delle pensioni – in attesa di una riforma specifica e strutturale dal 2023 – arriverà solo da marzo 2022 in poi. (agg. di Niccolò Magnani)



RIFORMA PENSIONI, LA SOSTENIBILITÀ DEL SISTEMA

Il Premier Draghi ha evidenziato come la riforma delle pensioni debba garantire la sostenibilità del sistema previdenziale. In questo senso, sottolinea Patrizia Del Pidio in un articolo su orizzontescuola.it, risulta insostenibile “che in Italia a lavorare è solo una percentuale di popolazione e nello specifico, alla fine del 2020 su quasi 60 milioni di abitanti solo poco meno di 23 milioni lavorava. 4 italiani ogni 10 svolgono attività lavorativa, producono e versano i contributi che servono a pagare le pensioni già liquidate. Per risolvere, quindi, parte del problema della sostenibilità del sistema previdenziale è necessario risolvere il problema della disoccupazione aumentando, di fatto, la percentuale dei lavoratori”.

LA SEPARAZIONE TRA ASSISTENZA E PREVIDENZA

I sindacati hanno invece in più occasioni posto l’accento sulla necessità di separare previdenza e assistenza, per dimostrare che la prima è contabilmente sostenibile. Ed è stata anche costituita per legge una Commissione con tale obiettivo. La bozza del documento conclusivo non soddisfa però la Uil. “Pur in presenza di difficoltà oggettive a rendere omogenea su scala europea tale separazione, è innegabile che la commistione tra spesa per pensioni e spesa assistenziale ha creato enormi problemi al nostro Paese. La Uil ha ribadito la necessità, in vista della riunione conclusiva prevista per la prossima settimana, di realizzare finalmente un’operazione verità che dimostri come per pensioni, in Italia, si spenda mediamente quanto negli altri Paesi dell’Ue”, spiegano in una nota Domenico Proietti e Carmelo Barbagallo.

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