DURIGON CONTRO CONTE SU QUOTA 100

Se Matteo Renzi, nel corso del suo intervento al Senato, ha criticato Giuseppe Conte per aver approvato la riforma pensioni con Quota 100, Claudio Durigon, invece, rivolto sempre al Premier, ha definito una follia “eliminare o meglio ancora rinnegare questa scelta di flessibilità dal mercato del lavoro, per questioni ideologiche o peggio ancora per pressioni europee”. Secondo quanto detto dall’ex sottosegretario al Lavoro durante il suo intervento alla Camera, è necessario piuttosto “spiegare all’Europa che in tempi di guerra nei quali noi siamo è indispensabile avere un mercato del lavoro flessibile favorendo un ricambio generazionale. Questo perché nell’ultimo anno la spinta tecnologica ha comportato la modifica delle esigenze occupazionali nelle imprese. Quindi, signor Presidente, anziché concedere il bonus monopattino o il bonus rubinetti, lei avrebbe dovuto ascoltare le esigenze del Paese con misure che avrebbero consentito in questa fase, di non agire solo sulla difensiva, ma prevedendo misure strutturali per le nostre imprese”.



LA DOPPIA PENALIZZAZIONE DI OPZIONE DONNA

Nello speciale del Sole 24 Ore “Pensioni 2021” viene ricordato che la Legge di bilancio ha tra le altre cose prorogato Opzione donna. Una misura di riforma pensioni che risale addirittura al 2004 e che prevede una penalizzazione derivante dal ricalcolo contributivo dell’assegno pensionistico. Una penalizzazione che, evidenza il quotidiano di Confindustria, “si è ridotta rispetto ai primi anni in cui era disponibile l’opzione, dato che gli anni lavorati prima del 1996 si riducono sempre più (da quell’anno si applica il calcolo contributivo anche nel sistema misto). Secondo la relazione tecnica alla Legge di bilancio, la penalizzazione è del 7% per le dipendenti e del 15% per le autonome (era dell’8% e del 17% l’anno scorso). A ciò si deve aggiungere, però, la conseguenza di un’età di pensionamento inferiore rispetto, ad esempio, a quella di vecchiaia (67 anni) con conseguente applicazione di un coefficiente di trasformazione meno vantaggioso per la parte contributiva di pensione (con un taglio anche del 20%), e dei contributi che non si versano e maturano più in quanto si smette di lavorare”.



SALVINI E LA QUOTA 100

Dopo Renzi anche Salvini ieri in Senato, attaccando il Premier Conte nel giorno della fiducia (poi ottenuta in forma risicata, ndr) ha riaperto il “dossier” sulla riforma pensioni in vista del Recovery Fund: «l’avvocato Conte ha fatto bene a combattere per Quota 100 e Opzione Donna durante il suo primo Governo», sottolinea il leader della Lega, «Se l’Europa ci chiede di abolirle deve dire di no». Il Centrodestra chiede compatto il voto, considerando erronee le battaglie di questo Governo oltre a non avere più la maggioranza del Parlamento: nel frattempo però l’imput di Salvini serve a porre pressione per i negoziati sul Recovery Fund, «qualora l’Europa dovesse chiederci qualcosa in cambio, il Governo deve difendere le pensioni di migliaia di italiani».



L’ABBASSAMENTO DELLA RENDITA DAL 2021

In un articolo sul sito del Corriere della Sera vengono ricordate sinteticamente alcune novità del 2021 in tema di riforma pensioni. Tra queste il fatto che chi va in quiescenza quest’anno “incasserà una rendita più bassa rispetto a chi ci è andato nel 2020”, per via dei “nuovi coefficienti di trasformazione del montante contributivo (il tesoretto accumulato negli anni) validi per il biennio 2021/2022. Quelle percentuali, cioè, che, applicate al totale dei contributi versati nell’intera vita lavorativa, determinano l’importo annuo di pensione cui si ha diritto. Si tratta della quinta revisione da quando introdotta (era il 2009) e tutte sono state negative”. Viene quindi fatto un esempio pratico: “Per un lavoratore che lascia a 65 anni d’età con 100 mila euro di contributi accumulati (il tesoretto, appunto), la pensione si è abbassata in questi anni di oltre 900 euro: mentre nel 2009 è stata di 6.136 euro; nel 2020 era di 5.245 euro e nel 2021 sarà di 5.220 euro. Scappatoie da questa tagliola non ce ne sono, se non quella di lavorare di più (e quindi accumulare di più)”.

RENZI RINFACCIA A CONTE QUOTA 100

Ieri al Senato è andato in scena una sorta di “faccia a faccia” tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi, che ha finito per riguardare anche i temi di riforma pensioni. Come riporta Il Sole 24 Ore, infatti, nel suo discorso in aula il leader di Italia Viva ha ricordato al Premier il suo sì a Quota 100 con il precedente esecutivo guidato nel 2018-19. “Presidente Conte, lei hai cambiato la terza maggioranza in tre anni, ha governato con Matteo Salvini. Oggi so che è il punto di riferimento del progressismo e ne sono contento, ma ha firmato i decreti Salvini e Quota 100. Ora si accinge alla terza maggioranza diversa, ma ci risparmi di dire che l’agenda Biden è la sua agenda dopo aver detto che l’agenda di Trump era la sua agenda. Se va all’assemblea generale dell’Onu e rivendica il sovranismo, non può dirsi antisovranista, se va alla scuola di Siri e si dice populista, ora non può dirsi antipopulista. Non può cambiare le idee per mantenere la poltrona”, ha detto Renzi accusando quindi Conte di trasformismo opportunista.

RIFORMA PENSIONI, IL RISCHIO PER I PARLAMENTARI

Un parere scritto dal ministero del Lavoro su richiesta dell’Inps rischia di avere effetti più dirompenti di una riforma delle pensioni per i parlamentari. Infatti, come spiega Sergio Rizzo su Repubblica, l’ufficio legislativo del dicastero guidato da Nunzia Catalfo, nel fornire un parere sollecitato dall’Inps per la vicenda dei parlamentari che hanno richiesto le indennità riservate ai lavoratori autonomi vista la crisi determinata dal Covid, non solo ha stabilito l’incompatibilità tra le indennità dei parlamentari e dei consiglieri regionali e questi bonus, ma ha anche scritto che i vitalizi dovrebbero “ritenersi del tutto corrispondenti a gestioni previdenziali obbligatorie”. “E questo, per i parlamentari, cambia la faccia del mondo”, scrive Rizzo.

IL REBUS SUI CONTRIBUTI FIGURATIVI DAL 2011 A OGGI

Infatti, oltre al vitalizio, oggi un parlamentare può continuare a maturare la normale pensione usufruendo anche dei contributi figurativi che gli vengono accreditati versando solo l’8% della loro vecchia retribuzione sospesa. In buona sostanza, i parlamentari possono cumulare pensioni e vitalizi godendo anche della contribuzione figurativa pagata dalla collettività. Se però i vitalizi sono equiparati alle pensioni, allora i parlamentari “dovrebbero perdere il diritto di beneficiare dei contributi figurativi. Con il risultato di non avere più la seconda pensione quasi regalata dalla fiscalità generale”. Rizzo evidenzia anche un punto importante: dato che il parere dell’ufficio legislativo del ministero del Lavoro si basa sulla riforma dei vitalizi del 2012, anche i contributi figurativi già versati da allora andrebbero eventualmente rimessi in discussione?