IL PUNTO DI GHISELLI
Roberto Ghiselli, dopo l’incontro tra Governo e sindacati di ieri sulla riforma delle pensioni, spiega che “è stata condivisa la necessità di un superamento delle rigidità attuali presenti nel sistema, in particolare quella legata ai 67 anni, anche se per il Governo su questo l’unica strada individuata è quella delineata dal sistema contributivo, rispetto alla quale rimane ferma la contrarietà del sindacato”. Il Segretario confederale della Cgil sottolinea anche che “la flessibilità che viene ipotizzata comprende anche una tutela ulteriore per le categorie più deboli come disoccupati, gravosi, invalidi e coloro che assistono un familiare con handicap, punto su cui il Governo si è impegnato ad effettuare delle verifiche tecniche” e che “al tavolo sono stati affrontati anche i temi dei coefficienti di trasformazione e quello dell’eliminazione della soglia del 2,8 e 1,5 volte l’assegno sociale per coloro che raggiungono rispettivamente 64 e 67 anni, su cui l’Esecutivo ha fornito una generica disponibilità”.
RICALCOLO CONTRIBUTIVO PENSIONI
Dopo le nuove proposte formulate dal Governo nella riunione tecnica sulla riforma pensioni, è il nodo del ricalcolo contributivo a tenere in “tensione” il cantiere della previdenza: con la proposta di 64 anni di uscita dal mondo pensionistico che chiunque accetti un taglio del 3% sull’assegno (in vista della normale pensioni da ottenere dopo i 67 anni), occorrerà capire quanto effettivamente si perderà per ogni anno di “ricalcolo” in assegno.
Come ha proposto Michele Reitano, membro della Commissione tecnica del Ministero del Lavoro, il ricalcolo si adegua al retributivo applicando «la differenza tra due indicatori importanti che trasformano la massa di contributi versati in una vita di lavoro (il montante) in pensione: i coefficienti di trasformazione (uno per ogni età di uscita». In questo modo il taglio massimo annuale sarebbe del 3%, crescendo al 9% in tre anni ma «limitato alla sola parte retributiva». (agg. di Niccolò Magnani)
LE PAROLE DI PROIETTI
L’idea di una riforma delle pensioni che introduca una flessibilità che comporti il ricalcolo contributivo dell’assegno prospettata dal Governo nell’incontro con i sindacati di ieri non piace alla Uil. “In Italia, da 10 anni, si va in pensione a 67 anni di età, mentre in Europa la media solo ora raggiunge i 63 anni. Il tema, quindi, è quello di riallineare l’età di accesso alla pensione a quello che avviene in Europa. Perseguendo, anche, la strada dei lavori gravosi e usuranti ed eliminando tutti i vincoli formali che hanno impedito ai lavoratori di poter utilizzare questi strumenti”, evidenzia il Segretario confederale Domenico Proietti, secondo cui la flessibilità legata al ricalcolo contributivo “sarebbe un’ulteriore penalizzazione per i lavoratori”. Dal suo punto di vista, “si deve dare una risposta ai lavoratori precoci stabilendo che 41 anni di contributi sono sufficienti per andare in pensione a prescindere dall’età. Nel sistema contributivo vanno superate le soglie reddituali che impongono a chi ha carriere più deboli o discontinue di andare in pensione più tardi”.
LA PROPOSTA DEL GOVERNO AI SINDACATI
Ieri si è tenuto un nuovo incontro tra Governo e sindacati sulla riforma delle pensioni. Come spiega Repubblica, l’esecutivo ha portato sul tavolo l’ipotesi nota come “Opzione Tutti” che prevede il ricalcolo contributivo dell’assegno in caso di uscita anticipata e che Cgil, Cisl e Uil ritengono inaccettabile. “Un punto di mediazione in realtà è all’orizzonte: uscire a 64 anni con almeno 20 di contributi e una penalizzazione del 3% al massimo per ogni anno di anticipo. Purché la pensione spettante non sia troppo bassa, ma superiore all’assegno sociale di un certo numero di volte”, scrive Valentina Conte, evidenziando che questa soluzione “sarebbe non solo sostenibile per i conti, ma anche digeribile da Bruxelles. All’Europa verrebbe spiegato che in Italia si estende il contributivo a tutti, di fatto”. Ai sindacati il Governo avrebbe anche fatto capire che non può prevedere un canale “di uscita con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Ma ha aperto sulla cumulabilità tra pensione povera e assegno sociale”.
RIFORMA PENSIONI, L’ANALISI DI BOERI E PEROTTI
In un articolo pubblicato su lavoce.info, Tito Boeri e Roberto Perotti evidenziano che “dato che quella dei giornalisti non sarà l’ultima cassa dissestata a confluire nell’Inps, era importante stabilire un precedente corretto, evitando che debiti accumulati per garantire privilegi ai propri iscritti venissero scaricati sulle spalle dei giovani, tra cui gli stessi giovani giornalisti”. Dal loro punto di vista, quindi, la misura di riforma pensioni che ha fatto confluire parte dell’Inpgi all’Inps, a partire dal prossimo luglio, avrebbe dovuto passare tramite “un contributo di solidarietà a quel 5% di pensionati Inpgi con trattamenti superiori ai 9500 euro al mese, secondo i dati del casellario pensionati dell’Inps”.
IL PRIVILEGIO PER I GIORNALISTI
Questo anche perché “il trattamento privilegiato concesso ai giornalisti è frutto di rendimenti più alti garantiti ai versamenti dei propri iscritti rispetto a quanto avveniva per gli altri lavoratori dipendenti” nell’ambito del regime retributivo. Inoltre, “i trattamenti Inpgi si sono allineati al meno generoso metodo contributivo solo nel 2017, vent’anni dopo quanto avvenuto per gli altri lavoratori”. Boeri e Perotti ricordano anche che “secondo l’Inps, le pensioni dei giornalisti sono almeno del 20 per cento più alte di quelle che sarebbero state se a loro fossero state applicate le regole previste per i dipendenti pubblici”. E “questi 6 anni di pensione regalati ai giornalisti spiegano non poco del disavanzo crescente accumulato dall’Inpgi nel corso del tempo”.
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