RIFORMA PENSIONI. Il rapporto di fine mandato del Consiglio di Indirizzo e vigilanza dell’Inps ci ha resi edotti di un’ulteriore proposta che circola nel dibattito sulle pensioni, che, dopo la “settimana quirinalizia” riprenderà nei prossimi giorni con gli stessi interlocutori di prima, sempre che non vi siano cambiamenti nel Governo; senza dubbio non ve ne saranno nelle direzioni dei sindacati. Di che cosa si tratta? 



È una proposta formulata da uno studioso serio e competente il prof. Michele Raitano che ha fatto parte – anche come estensore di gran parte del relativo documento conclusivo – del Gruppo di studio costituito dal ministro del Lavoro a proposito della c.d. separazione tra previdenza e assistenza. Essendo stato designato in quel gruppo dalla Cgil, è lecito presumere che abbia voce in capitolo nella confederazione di Maurizio Landini. Pertanto è opportuno prestare attenzione alle sue proposte (riprese anche in un articolo de Il Sole 24 Ore) non solo per la loro autorevolezza scientifica, ma, altresì, per il loro rilievo politico. 



La proposta centrale di riforma pensioni è molto semplice: permettere, a partire da una certa età, il pensionamento con un taglio intorno al 3% della quota retributiva dell’assegno per ogni anno d’anticipo rispetto alla soglia di vecchiaia. Si aggiungono poi – come vedremo – altri suggerimenti rivolti a razionalizzare il traffico sulle troppe vie d’uscita ora consentite per l’agognata quiescenza. 

Appare evidente che una soluzione di questo tipo – che peraltro è simile a quella avanzata, nel 1994, dal primo Governo di Silvio Berlusconi e che concorse a determinare la sua caduta dopo lo svolgimento di imponenti proteste sindacali – finisce per penalizzare chi è più anziano o quanto meno è entrato prima nel mercato del lavoro. Certamente si tratta di una proposta di riforma pensioni più sensata di quella avanzata dal Presidente dell’Inps Tridico riguardante la possibilità di anticipare il pensionamento percependo soltanto – fino all’età di vecchiaia – la quota/parte corrispondente ai versamenti effettuati con il sistema contributivo. 



È difficile sottrarsi, osservando la proposta di riforma pensioni di Raitano, all’impressione che vi sia una sorta di pregiudizio postumo nei confronti del modello retributivo che finisce per penalizzare quelli che ne hanno usufruito più a lungo. Eludendo sia pure con la previsione di una penalizzazione economica importante – ad avviso di chi scrive – la questione dell’adeguatezza del trattamento rispetto alla questione del prolungamento della vita attiva e dell’innalzamento dell’età pensionabile alla decorrenza. Certo, per dire l’ultima parola bisognerebbe attendere quale sarebbe l’età a partire dalla quale anticipare il pensionamento. Ora, le informazioni, di cui alla Tabella 1 – sia pure con il riferimento ai trattamenti liquidati con Quota 100 – consentono di avere un’idea di quale potrebbe essere la ripartizione delle due quote e quindi l’entità della penalizzazione secondo la proposta di Michele Raitano. 

Tabella 1 – Quota delle componenti retributiva e contributiva nell’ambito delle pensioni liquidate con Quota 100 (anni di anzianità di contribuzione).

Gestioni 

Sistema contributivo

Sistema retributivo

totale

artigiani

18

21

39

commercianti

20

20

40

FS

25

15

40

FPLD

21

19

40

Ipost

24

15

39

Parasubordinati

39

0

39

Media totale

21

19

40

Fonte – MLPS/Inps/CdC-Rcfp -2021.

Nel 2020 il valore della quota retributiva, per quanto ha pesato in media sull’anzianità contributiva totale, è stato pari a 19 anni, su un’anzianità complessiva di 40 anni, in media. Il dato conferma la significativa incidenza della quota retributiva (pari a circa la metà del trattamento) e dunque la natura tendenzialmente privilegiata che ha determinato la normativa di temporanea deroga dalle norme della legge 214/2011. 

Nel contributo si prendono in considerazione tutte le possibilità d’uscita offerte attualmente dalle regole in vigore (dall’Ape sociale e da Opzione donna fino a Quota 100, che dal 1° gennaio 2022 è salita a Quota 102) sottolineando che si tratta di «un insieme di misure eterogenee – e talvolta non particolarmente chiaro nei criteri ispiratori – nella definizione della platea dei beneficiari e incapace di risolvere in modo permanente il problema di come offrire un’opzione di scelta a chi volesse ritirarsi prima di aver raggiunto i requisiti elevati (e crescenti nel tempo) stabiliti dalle riforme del 2009-2011, senza al contempo aggravare i conti pubblici».

E dai dati che si susseguono nel report finale del Civ Inps, guidato da Guglielmo Loy, emerge, tra l’altro, che al 30 settembre 2021 risultavano liquidati poco più di 355mila trattamenti con Quota 100 (e solo l’8,3% di quelli erogati nel 2021 presentava un importo inferiore ai mille euro lordi al mese) per un costo fino a quel momento di 19,5 miliardi, pari a meno della metà del fabbisogno complessivo di oltre 46 miliardi previsto dal decreto legge istitutivo di inizio 2019 dei pensionamenti con almeno 62 anni d’età e 38 di contributi, e anche dei 41,3 miliardi stimati l’anno successivo, dopo gli “aggiornamenti” operati dal Mef e dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb).

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