PREVIDENZA INTEGRATIVA, QUANTO VERSARE?

Come viene ricordato in un articolo su L’Economia, il supplemento del Corriere della Sera, “con il passaggio al sistema contributivo, il tasso di sostituzione (la percentuale dell’ultimo stipendio che sarà elargita come rendita pensionistica) si è ridotto drasticamente. Tradotto, al termine della vita lavorativa saremo tutti più ‘poveri’. Chi più e chi meno”. Per questo diventa importante la previdenza integrativa. Le simulazioni di Smileconomy mostrano che per avere una rendita aggiuntiva pari a 500 euro netti mensili occorre versare contributi mensili alla previdenza integrativa “che oscillano tra i 211 euro di un 30enne con un alto profilo di rischio e i 848 euro di un 50enne con un profilo di rischio basso”. Sostanzialmente, quindi, l’importo dei contributi da versare mensilmente per arrivare a una pensione integrativa pari a 500 euro netti al mese dipende dall’età anagrafica del lavoratore e dal livello di rischio della linea di investimento scelta. Non va dimenticato che i contributi versati sono deducibili dal reddito fino a un importo di 5.164,57 euro l’anno.



IL TAVOLO SULLA RIFORMA E I NODI IRRISOLTI

Oggi 3 febbraio e lunedì 7 febbraio i due tavoli non decisivi ma che diranno comunque molto sul futuro della riforma pensioni in Italia dopo il 2022: Quota 102, flessibilità, contributivo, giovani e donne, il tutto per cercare di superare la legge Fornero in un “derby” tra sindacati e Ministeri Economia-Lavoro.



Resta il nodo irrisolto della Lega che sponda con i sindacati per provare ad ottener quanto finora l’Europa ha sempre negato, ovvero una soglia minima di pensionamento tra i 62 e i 63 anni: pessime notizie arrivano poi dall’Ocse dove gli ultimi dati sottolineano come le nuove generazioni «potrebbero accedere alla pensione non prima di aver compiuto 70 anni» e tra l’altro con assegni esigui, spesso al di sotto della soglia di povertà. Il tutto a causa delle carriere lavorative discontinue e dei periodi di precariato: l’intervento sui giovani è decisivo e si “misurerà” da questo accordo nei prossimi mesi la base e la bontà della prossima riforma pensionistica. (agg. di Niccolò Magnani)



LA NOVITÀ PER L’ISCRIZIONE AL FONDO CREDITO

Come spiega Teleborsa, “con la Legge di Bilancio 2020 era stata disposta la riapertura dei termini per l’adesione alla Gestione Unitaria delle Prestazioni Creditizie e Sociali (più semplicemente Fondo Credito) a favore di dipendenti in servizio nel settore pubblico e dei relativi pensionati che, alla data del 1° gennaio 2020, non risultano iscritti alla citata gestione. A seguito del parere favorevole espresso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con nota del 19/01/2022, la possibilità di iscrizione è ora stata estesa anche ai soggetti collocati in quiescenza o assunti successivamente al 1/1/20, purché entro il termine stabilito per l’iscrizione volontaria del 20 febbraio 2022 (D.M. 12 maggio 2021, n, 110)”. L’iscrizione “avviene su base volontaria ed è irrevocabile; dalla stessa deriva l’obbligo di versare un contributo pari allo 0,35% per il lavoratore (addebitato ex DM 110/21 sulla retribuzione lorda imponibile ai fini pensionistici, direttamente in busta paga) e dello 0,15% per i pensionati (trattenuto nel cedolino di pensione)”.

LA PREOCCUPAZIONE DEI SINDACATI

A gennaio l’inflazione ha fatto segnare un rialzo del 4,8% su base annuale e a spingere l’indice dei prezzi sono stati in particolare i beni energetici. Anche per questo “il caro bollette preoccupa i sindacati”, come evidenzia Il Resto del Carlino, riportando le parole del Segretario generale della Uil di Modena e Reggio Emilia, Luigi Tollari: “La Uil di Modena e Reggio Emilia esprime grande preoccupazione per la tenuta del potere d’acquisto di salari e pensioni, a fronte di aumenti spropositati di bollette per luce e gas, aumento dell’inflazione, dei consumi al dettaglio e delle addizionali che ripartono da questo mese. Tutte voci che pesano inesorabilmente sul bilancio familiare già di per sé modesto della stragrande maggioranza di lavoratori e pensionati”. Anche perché, “i salari come noto, per chi ha la fortuna di avere un lavoro stabile basta appena per arrivare a fine mese, mentre le pensioni , alle quali da gennaio è stato corrisposto un aumento modesto, costringerà tanti anziani a ulteriori rinunce”.

RIFORMA PENSIONI, NUOVO INCONTRO GOVERNO-SINDACATI

Oggi Governo e sindacati tornano a confrontarsi sulla riforma delle pensioni. Come spiega Il Sole 24 Ore, potrebbe entrare nel vivo la discussione sulle misure per i giovani. Tra queste, la possibilità che lo Stato copra con contributi figurativi periodi di formazione, di disoccupazione e di lavoro di cura arrivando persino a garantire “per ogni anno di lavoro 1,5-1,6 anni di versamenti”. Ovviamente si tratterebbe di una misura che potrebbe essere costosa nell’arco degli anni. Altro tema sul tavolo è quella della previdenza delle donne, con l’idea “di estendere il bonus contributivo virtuale ai periodi di maternità e a quelli di assenza ‘forzata’ dal lavoro da parte delle donne”. Si discute anche “della possibilità di prevedere un ulteriore bonus, o ‘sconto’, di dodici mesi di versamenti per ogni figlio”.

LO SCOGLIO DELLA FLESSIBILITÀ

Tuttavia, come ricorda il quotidiano di Confindustria, “il vero scoglio da superare nella partita tra Governo e sindacati resta quello della flessibilità in uscita. Cgil, Cisl e Uil insistono sulla necessità di rendere possibili i pensionamenti anticipati per tutti a partire da 62 o 63 anni di età (magari con qualche penalizzazione) senza evitare il sistema ‘misto’ o, in alternativa, con 41 anni di contribuzione a prescindere dall’età anagrafica. Ma per il Governo qualsiasi intervento deve restare ancorato al metodo contributivo e non deve comportare oneri eccessivi per i conti pubblici. Come dire: la soglia anagrafica minima, fissata a 64 anni da Quota 102, non potrà scendere troppo e gli assegni anticipati non potranno essere certo pesanti”. Il tema della flessibilità verrà comunque affrontato più avanti.

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