IL DIVARIO DI GENERE IN CRESCITA
In un articolo pubblicato su La Stampa, Chiara Saraceno evidenzia che a causa degli effetti della pandemia sul mercato del lavoro, che hanno riguardato in particolare giovani e donne, è probabile che i primi “faranno fatica ad accumulare una storia contributiva sufficiente a garantire loro una vecchiaia decente dal punto di vista economico, se non verranno introdotti correttivi” e che “allo stesso tempo è probabile che aumenti ulteriormente il divario di genere nel reddito da pensione, peggiorando una tendenza in atto già da otto anni”. Infatti, “dal 2012 al 2020 il differenziale è passato da circa 400 a 550 euro mensili per le pensioni di anzianità e da circa 200 a 250 euro per quelle di vecchiaia”. Saraceno spiega anche dal Rapporto annuale dell’Inps emerge una differenza di genere anche nell’utilizzo “di due strumenti di favore che consentono l’anticipo pensionistico. Mentre Quota 100 è stata utilizzata per la stragrande maggioranza da uomini con redditi medio-alti, Opzione donna è stata utilizzata in prevalenza da donne a reddito basso, quando non già uscite di fatto dal mercato del lavoro”.
TRIDICO E IL PROBLEMA DELLE PENSIONI “CONTRIBUTIVE”
In conclusione alla relazione sul Rapporto annuale Inps, il Presidente dell’istituto Pasquale Tridico ha sottolineato un effetto da tener conto nel calcolo del metodo contributivo sulle pensioni. In attesa di una riforma strutturata che possa traghettare la previdenza italiana dalla Quota 100 al futuro prossimo del 2022, il n.1 dell’Inps ha presentato i dati in riferimento alle differenze sociali e di speranza di vita: «Dai dati emerge che i cittadini con le pensioni più basse e che vivono meno a lungo finanziano i cittadini con le pensioni più alte che vivono più a lungo», ad esempio tenendo conto dei lavori più/meno pesanti effettuati. Ebbene, la conclusione del Rapporto Inps, marca nettamente il “nodo” della questione: «dovrebbero essere considerate per esempio nei coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione col metodo contributivo, che oggi sono uguali per tutti». (agg. di Niccolò Magnani)
RIFORMA PENSIONI, PRESSING ANP-CIA SULLE MINIME
L’Associazione nazionale pensionati aderente alla Cia intende dare battaglia perché si arrivi a una riforma delle pensioni che aumenti le minime. Come si legge si ciatoscana.eu, infatti, il Presidente nazionale Alessandro Del Carlo ha detto: “Continueremo a informare e mobilitarci finché ce ne sarà bisogno. Abbiamo la responsabilità di tenere accesi i riflettori sull’ingiustizia sociale che colpisce milioni di pensionati ridotti alla soglia della povertà. Sostenuti troppo spesso solo da retorica, mai da interventi concreti a loro tutela. La nuova legge di Bilancio ci troverà agguerriti su questo fronte come lo siamo da anni. Porteremo proposte concrete sul tavolo delle Commissioni governative chiamate a preparare la riforma previdenziale e fiscale in campo pensionistico. ‘Il Paese che Vogliamo’ deve coniugare sviluppo economico a equilibrio territoriale e giustizia sociale”. Le richieste dell’Anp-Cia sono: aumentare le pensioni minime, estendere la quattordicesima, tutelare le pensioni dalla perdita del potere d’acquisto, ridurre la tassazione e riconoscere l’Ape sociale agli agricoltori.
IL COSTO DI QUOTA 41
Come spiega il sito del Sole 24 Ore, gli esperti dell’Inps hanno cominciato ad analizzare le proposte di riforma pensioni per il post-Quota 100, evidenziando che Quota 41 “arriverebbe ad impegnare fino allo 0,4% del Pil”. Più convenienti le altre due principali ipotesi, ovvero quella di una flessibilità a 64 anni con ricalcolo contributivo dell’assegno e “quella di un anticipo pensionistico per la sola quota di pensione contributiva maturata al raggiungimento dei 63 anni di età” avanzata da Pasquale Tridico nelle scorse settimana. Quest’ultima risulta essere la proposta che “presenta i costi più bassi per il sistema pensionistico: si partirebbe con non più di 443 milioni il primo anno per arrivare a poco più di 2 miliardi nell’ultima annualità su un arco decennale. Per dare un’idea delle differenze, per Quota 41 si spenderebbero “otre 4,3 miliardi già nel primo anno fino a superare i 9,2 miliardi nell’ultima annualità di un tratto di percorso decennale”. Vedremo se e quanto queste analisi saranno prese in considerazione dall’esecutivo.
RIFORMA PENSIONI, I PROVVEDIMENTI PER L’INPGI
Si apre uno spiraglio per mettere in sicurezza l’Inpgi. Come spiega la Presidente dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, Marina Macelloni, “l’istituzione di una commissione tecnica che affronti i nodi della crisi strutturale dell’Inpgi è una buona notizia e noi siamo pronti a confrontarci con tutti gli attori del sistema in qualunque momento, tenuto conto della rilevanza istituzionale dell’attività che l’Inpgi svolge nel panorama della previdenza italiana”. Con un emendamento al Decreto sostegni-bis è stato inoltre rinviato al 31 dicembre l’eventuale commissariamento dell’Inpgi. Macelloni si è detta anche certa “che la commissione troverà le soluzioni più adeguate a tutelare il sistema di welfare dei giornalisti italiani e a garantire il rafforzamento economico dell’intero settore”.
LE POSSIBILI SOLUZIONI AL DISSESTO
Secondo Enzo Ghionni, “la soluzione del dissesto dell’Inpgi, perché di questo si deve parlare è duplice. O aumentare la platea degli iscritti, facendo entrare i comunicatori, un’ampia e variegata platea con molti iscritti attivi e pochi pensionati, o far rientrare l’Inpgi nel mare magnum dell’Inps, in modo che il disavanzo dei suoi conti venga annacquato da numeri enormi. In ambedue le ipotesi sarà lo Stato a doversi fare carico di una situazione che per ragioni costituzionali in uno Stato di diritto deve essere sostenuta”. Nel suo intervento pubblicato su editoria.tv si legge anche che “ci sarebbe, anche una terza strada, che è quella di una vera riforma dell’editoria che unisca pluralismo e industria culturale e che provi ad introdurre strumenti per sostenere in maniera equilibrata un settore stremato dalla competizione con gli over the top”.
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