LE PAROLE DI DAMIANO
Il numero di luglio della rivista Lavoro & Welfare è stato dedicato alla previdenza complementare. In un articolo al suo interno, Cesare Damiano evidenzia che il sistema dei fondi negoziali, nonostante gli anni trascorsi dalla sua nascita, “non ha avuto, in questo periodo di tempo, la capacità di informare e di convincere ad aderire una grande parte del suo potenziale bacino di utenza. Molti lasciano ancora il Tfr in azienda e scelgono, se lo fanno, altre forme di risparmio individuale”. Dunque ora ci si trova “in questo difficilissimo passaggio storico segnato dalla crisi senza precedenti scatenata dalla pandemia Covid-19, a disegnare uno snodo, altrettanto storico, per la previdenza complementare che incrocia l’impervia strada, tutta da costruire, della ripresa della nostra economia. L’imperativo è certo, come sempre, quello di andare avanti. La necessità – ricordando sempre che parliamo del futuro pensionistico dei lavoratori in una situazione quanto mai precaria – è quello di agire con il raziocinio, la lungimiranza e la prudenza che hanno ispirato, giustamente, l’evoluzione della previdenza complementare”.
IL RISCHIO CON GLI SPRECHI DI RISORSE
In un’analisi pubblicata sull’Avanti, e riportata da Linkiesta, Giovanni Cagnoli evidenzia che “lo spreco non è più accettabile. La competenza nella gestione pubblica è una necessità categorica. Un incompetente non vale un competente. Bisognerà fare anche scelte dolorose. Se invece vogliamo continuare a nascondere la testa sotto la sabbia bisogna cominciare a fare sapere ai nostri pensionati, dipendenti pubblici e garantiti che il prezzo del risveglio sarà pesantissimo e quasi esclusivamente a loro carico. Senza creare reddito non si potranno mantenere le forme di assistenza e garanzie molto generose di cui molti godono oggi. Quindi è bene iniziare a rendere noto l’ovvio e cioè che prima o poi senza sviluppo economico adeguato pensioni, sanità e pubblico impiego saranno falcidiate senza appello perché una comunità non può vivere sopra i propri mezzi per 2 o 3 generazioni”. “Il Covid ha devastato una minoranza della popolazione italiana, ma si tratta di quella minoranza che sostiene la possibilità dei trasferimenti alla maggioranza che non ha subito impatti economici”, aggiunge il Presidente di Carisma SpA.
L’ATTESA PER LA CIRCOLARE INPS SU ASSEGNI INVALIDITÀ
In un articolo sul Sole 24 ore viene ricordato che il Decreto agosto interviene sulle pensioni di invalidità andando di fatto a correggere quanto previsto nel Decreto rilancio in recepimento della sentenza della Corte Costituzionale relativa all’importo di tali assegni. Di fatto la maggiorazione riguarderà solo i soggetti di età superiore ai 18 anni, mentre nella previsione del Decreto rilancio venivano compresi anche i minorenni. “Le modifiche, per espressa previsione normativa, avranno effetto retroattivo dal 20 luglio 2020. Sono destinatari della novità anche i sordomuti, i ciechi civili assoluti titolari di pensione o che siano titolari di pensione di inabilità (articolo 2 della legge 222/1984) mentre rimangono esclusi gli invalidi civili parziali”, si legge sul quotidiano di Confindustria, che ricorda anche come ora toccherà all’Inps con una circolare chiarire anche se bisognerà presentare una specifica richiesta per il ricalcolo del proprio assegno o se invece questo verrà eseguito direttamente d’ufficio senza necessità di istanza.
AUMENTI ETÀ PENSIONI SOLO DOPO IL 2023
Come già ribadito negli scorsi giorni, l’ultima circolare Inps fa tirare un lieve sospiro di sollievo a lavoratori e pensionati: fino almeno al 2023 non ci dovrebbero essere aumenti dell’età pensionabile, seguendo così quanto per ora viene ancora normato dalla riforma pensioni a firma Elsa Fornero. L’Inps ha spiegato che non ci sarà nessun ulteriore incremento dei requisiti legati alla speranza di vita, anche se dopo il 2023 – specie con gli accordi ancora tutti da trovare nel prossimo Recovery Plan italiano in sede europea – l’età potrebbe tornare a crescere andando verso gli standard degli altri Paesi Ue. La legge attualmente in vigore in Italia stabilisce infatti che l’età a cui si va in pensione subisca un’incremento di 3 mesi ogni 2 anni: il prossimo aumento sarebbe dovuto avvenire proprio nel 2021 ma l’ultimo Decreto del Governo ha di fatto bloccato tale “scatto” rimandando al 2023 il “problema”, in attesa che vi sia una nuova riforma pensioni che mossa normare la flessibilità in uscita. (agg. di Niccolò Magnani)
LE PAROLE DI GHISELLI
Secondo Roberto Ghiselli, è “fuorviante” raffrontare i dati relativi alle domande per Quota 100 del primo semestre di quest’anno con quelli dello stesso periodo dell’anno scorso, quando la misura di riforma pensioni era appena entrata in vigore e c’erano quindi più persone che soddisfavano i requisiti richiesti. Il Segretario confederale della Cgil, intervistato da pensionipertutti.it, conferma la previsione fatta dal suo sindacato: complessivamente saranno 370.000 le persone che a fine 2021 avranno chiesto di utilizzare Quota 100, contro le 970.000 prevista dal Governo Conte-1. Ghiselli aggiunge poi che il Governo, in tema di pensioni, “deve dare alcune risposte urgenti, anche connesse agli effetti della pandemia, come il rafforzamento dell’Ape sociale e della legge sui lavoratori precoci, un nuovo strumento previdenziale per aiutare chi sta per perdere il lavoro o per favorire il ricambio generazionale, e la risoluzione completa della partita riguardante gli esodati”. Temi che verranno affrontati nei prossimi incontri di settembre tra esecutivo e sindacati.
RIFORMA PENSIONI, LA BOMBA SOCIALE NEL FUTURO
In tema di riforma pensioni, Felice Roberto Pizzuti, docente di Politica Economica e di Economia e Politica del Welfare State presso l’Università “Sapienza” di Roma, ritiene che più che occuparsi di Quota 100, che è “soltanto un’arma di distrazione di massa da quella che è la vera bomba sociale che esploderà nel prossimo futuro”, “dobbiamo iniziare a occuparci seriamente delle pensioni di chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995. Sono più della metà e si tratta di persone che hanno già pagato una volta perché lavoratori o lavoratrici con contratti spesso precari. Si rischia di accanirsi due volte sulla stessa generazione e i numeri confermano che non si è ancora colto il problema”.
LA PROPOSTA PER EVITARLA
Intervistato dall’Huffington Post, Pizzuti ricorda che “il 54% delle persone che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995 avrà una pensione inferiore alla soglia di povertà (780 euro)”. “La nostra proposta, che portiamo avanti da anni nel Rapporto sullo Stato Sociale della Sapienza di cui sono curatore, è di versare contributi sia ai lavoratori presenti sul mercato del lavoro sia agli assenti. Sia a chi lavora, sia ai disoccupati”, aggiunge il Professore, evidenziando che si tratta di una misura sostenibile, “perché non comporta alcuna spesa immediata per lo Stato. Al disoccupato si versa un contributo figurativo, come se fosse un pezzo di carta. Il contribuente non paga nulla, né ci sono uscite dal bilancio pubblico. In questo modo, inoltre, si dice alla persona senza lavoro di non preoccuparsi per la sua pensione”.