RIFORMA PENSIONI. Subito dopo la manifestazione del 1° maggio il Governo ha convocato le organizzazioni sindacali, prima del Consiglio dei ministri di ieri, in merito alla situazione economica creatasi in seguito agli oltre due mesi di guerra in Ucraina e alle misure da attuare per sostenere imprese e famiglie in questo difficile momento.
Dopo la riunione abbiamo assistito alle solite stucchevoli dichiarazioni dei leader sindacali che hanno parlato di “un positivo incontro per contrastare l’emergenza politica e sociale, si è segnalata la necessità di salvaguardare il potere di acquisto di salari e pensioni, auspicando un confronto permanente tra Governo e organizzazioni sindacali”. Durante la riunione Cgil, Cisl e Uil hanno esplicitato le loro specifiche richieste in merito alla stabilizzazione della precarietà, al rinnovo dei contratti di lavoro, alla maggiore sicurezza sul lavoro, chiedendo altresì una riduzione del cuneo fiscale e uno scostamento di bilancio in quanto le risorse di cui si parlava nei giorni scorsi, intorno ai 7 miliardi di euro, erano assolutamente insufficienti per superare questo momento di crisi economica.
Poi in realtà nel Consiglio dei ministri il Governo ha aumentato a 14 i miliardi messi sul piatto aggiungendo ai miliardi necessari per calmierare i costi dell’energia a famiglie e imprese altri 6 miliardi per dare a 28.000.000 di lavoratori dipendenti, autonomi e ai pensionati che non superano i 35.000 euro di imponibile annuo un bonus una tantum di 200 euro.
Non che questi interventi siano negativi, soprattutto un intervento sui costi dei carburanti e sulle famiglie in difficoltà lo ritengo doveroso, ma sono rimasto piuttosto perplesso su un bonus di 200 euro da dare a 28.000.000 di italiani. Impegnare 6 miliardi di euro su un provvedimento spot lo ritengo sbagliato.
Avrei preferito che invece si mettessero le basi per un intervento di natura previdenziale che ritengo non più procrastinabile. Non vorrei che questo impegno economico da parte del Governo possa pregiudicare l’approvazione di una nuova riforma previdenziale e che questo argomento possa nuovamente essere rimandato all’autunno con pochissime possibilità di un cambiamento radicale.
Anche perché se fosse relegato nella Legge di bilancio e fosse come al solito approvato in extremis alla fine di dicembre mancherebbe il tempo necessario perché l’eventuale riforma possa partire effettivamente dal 1/1/2023. Servirebbero alcuni mesi per le spiegazioni tecniche, per la piena operatività e lo stesso Inps non sarebbe in grado di operare immediatamente.
Come ho detto tante volte, la nuova legge previdenziale deve avere un suo iter autonomo per essere discussa in tutti i suoi aspetti e deve essere approvata entro l’estate. Con l’entrata in vigore dal 1/1/2023 ci sarebbero alcuni mesi di tempo per rendere attuabile e operativo il tutto. Eppure, il Governo prende tempo. Le organizzazioni sindacali sono come ingessate e si compiacciono di essere convocate e di essere protagoniste della vita politico/economica, ma senza incidere ed essere determinanti, e così facendo si rischia nuovamente di arrivare a fine anno e di fare pochissimi interventi non determinanti.
Per fare una buona legge previdenziale, se solo si volesse, bastano poche settimane e anche il costo non sarebbe esorbitante. Per esempio, fissando il pensionamento ordinario a 66 anni e attuando da 62 anni una flessibilità in uscita con una piccola penalizzazione annua e al tempo stesso dando la possibilità, per chi lo volesse, di restare nel mondo del lavoro fino a 70 anni, si avrebbe un costo limitatissimo per l’Erario e si darebbe a molte persone la possibilità di accedere al pensionamento. E anche se si volesse anticipare per tutti, uomini e donne, a 41 anni la pensione anticipata, che ormai sempre meno persone riusciranno a raggiungere e considerato che non tutte le persone, come ha chiaramente indicato Quota 100 non usufruiscono di tale opportunità, si avrebbe un costo molto inferiore a quello ipotizzato dall’Inps.
Con i risparmi di Quota 100 e con gli oltre 163.000 decessi da Covid registrati in questi ultimi tre anni, che hanno determinato una riduzione dell’aspettativa di vita di quasi due anni e un consistente risparmio per le casse dell’Inps, la riforma può essere sostenibile.
Ecco perché sono rimasto piuttosto perplesso sui 200 euro una tantum dati a 28.000.000 di italiani. Avrei, piuttosto, impegnato tali risorse per costruire una buona ed equa riforma previdenziale che desse a milioni di italiani una legge duratura a partire dal 1/1/2023 concedendo ai lavoratori quella flessibilità in uscita che tutti a parole auspicano, ma che poi in realtà nessuno vuole applicare.
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