Nel mese di dicembre è previsto il riavvio del confronto Governo-sindacati sulla previdenza che dovrebbe dare agli italiani una nuova riforma delle pensioni a decorrere dal 2023. Draghi avrebbe intenzione di stringere i tempi per arrivare entro il mese di aprile a un accordo da inserire nel Def.

Oramai, come sappiamo, il 2022 sarà un anno di transizione con interventi limitati in ambito previdenziale che si possono riassumere nella Quota 102 (64 anni di età + 38 di contributi), la riconferma di Opzione Donna, l’aumento dei mestieri gravosi per l’Ape Sociale, l’ampliamento dei contratti di espansione con l’inclusione delle aziende anche di 50 dipendenti e l’istituzione di un fondo di 550 milioni in tre anni per permettere l’accesso al pensionamento di 62enni di piccole aziende in crisi.



Per l’anno successivo, invece, diverse sono le ipotesi di riforma pensioni sul tappeto con un meccanismo di uscite flessibili che però dovranno subire il calcolo effettuato col sistema contributivo. In sostanza, la Legge Fornero resterà come riferimento con l’uscita prevista a 67 anni per la pensione di vecchiaia e l’uscita con la pensione anticipata a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne. In questo caso chi uscirà dal mondo del lavoro potrà contare sul calcolo misto (retributivo fino al 31/12/1995 e contributivo dal 1/1/1996). Chi invece deciderà di uscire prima sarà penalizzato dal calcolo interamente contributivo.



Le ipotesi di riforma pensioni sul tappeto sono l’uscita a 64 anni di età e almeno 20 anni di contribuzione, che peraltro già esiste per chi è entrato nel mondo del lavoro dopo l’anno 1996; pensionamento a 62 anni con almeno 25 anni di contributi; pensionamento a 63 anni e almeno 41 anni di contributi (Quota 104) e infine la proposta del Presidente dell’Inps Tridico che prevede il pensionamento a 63 anni con almeno 20 anni di contributi e aver maturato una quota contributiva di almeno 1,2 volte l’assegno sociale.

La pensione in sostanza sarebbe calcolata in due fasi. Percepire una prima parte dell’assegno a 63 anni calcolando solo la parte contributiva e successivamente al raggiungimento della pensione di vecchiaia a 67 anni ricevere anche la parte di assegno relativa alla parte di retributivo. Anche dal punto di vista della sostenibilità finanziaria sarebbe poco onerosa per le casse dello Stato con costi che partirebbero da meno di 500 milioni nel 2023 per arrivare in tre anni a poco più di un miliardo di euro, con una platea di beneficiari previsti nel triennio di oltre 200.000 lavoratori. Il costo sarebbe dovuto esclusivamente all’anticipazione di cassa dei flussi degli anni di anticipo rispetto ai 67 anni.



Sicuramente delle varie proposte di riforma pensioni al momento in esame quella di Tridico è la meno penalizzante per i lavoratori che dovrebbero accettare un taglio dell’assegno previdenziale solamente per alcuni anni e poi avere la pensione piena, molto più accettabile rispetto alle altre proposte di subire un taglio per tutta la durata della vita. Eppure, stranamente, questa proposta che molti lavoratori gradirebbero sembra non avere estimatori né nei sindacati, né nel Governo. I primi perché non vogliono perdere la faccia avendo presentato quota 41 oppure 62 anni di età e non vogliono al momento cambiare rotta, sperando di convincere il Governo ad accettare le loro richieste. L’esecutivo perché, egoisticamente, spinge verso le altre proposte che sarebbero più convenienti per le casse dello Stato e al contrario, più dannose per i lavoratori che subirebbero un taglio dell’assegno per sempre.

Una proposta di riforma pensioni che potrebbe mettere d’accordo tutti, che sembra accettabile per i lavoratori, che costa pochissimo, che consentirebbe a centinaia di migliaia di persone di accedere prima al pensionamento non viene recepita e al momento risulta la meno gettonata. Il Governo in sede di contrattazione cercherà di mettere i lavoratori con le spalle al muro costringendoli a una sorta di ricatto. Rimanere nell’orbita della Legge Fornero e godere del sistema misto oppure accettare un consistente taglio dell’assegno previdenziale, nell’ottica di confluire velocemente verso il contributivo puro. Questa di Tridico che, comunque, è una proposta penalizzante per il lavoratore perché lo costringerebbe per alcuni anni a percepire importi in linea con il Rdc, sarebbe tra le ipotesi sul tappeto il male minore in un Paese ancora nel pieno della pandemia con l’inflazione schizzata a numeri che avevamo ormai dimenticato e che dopo il rimbalzo del Pil del 2021 deve confermare anche nel prossimo anno la reale crescita.

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