LE PAROLE DI PACIFICO (ANIEF)
Marcello Pacifico, in un’intervista a Teleborsa, non usa giri di parole e afferma: “È importante sulle pensioni dire le cose come stanno: in tutta Europa si va in pensione a 63 anni senza penalizzazioni e non si capisce perché soltanto in Italia bisogna vivere per lavorare. Il Presidente dell’Anief evidenzia infatti che “in realtà, si lavora per vivere e dopo 35-37 anni di contributi il lavoratore ha dato tanto allo Stato”, che però “ancora oggi non riconosce gratuitamente neanche gli anni di laurea nel mestiere dell’insegnamento, sebbene sia diventata una condizione indispensabile per poter accedere ai ruoli”. “A questo punto noi chiediamo che il governo rifletta bene e faccia una riforma senza penalizzare i lavoratori, facendo in modo che tutti quanti possano, dopo una vita dedicata allo Stato, godere un po’ dei frutti di questo lavoro nella vecchiaia”, è la conclusione del sindacalista. Ricordiamo che da tempo l’Anief chiede una finestra di pensionamento anticipato riservata al personale scolastico dai 61 anni di età.
LA PROPOSTA SUI 64 ANNI DI USCITA PER LA PENSIONE
Andare in pensione a 64 anni con il ricalcolo contributivo è stato già “battezzato” dai sindacati come una riforma pensioni non adatta alle esigenze del mondo previdenziale italiano: alle critiche delle sigle, che lamentano la perdita di quasi il 30% dell’importo per il pensionato fino al raggiungimento della normale pensione di vecchiaia, si è aggiunta un’altra proposta formulata dal presidente di Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla.
Negli scorsi giorni l’ex consulente economia della Lega ha spiegato che sarebbe opportuno mantenere lo schema della Quota 102, rivedendolo in parte per rientrare nei requisiti rigidi dell’Unione Europea. Fermi i requisiti di accesso (ovvero 64 anni di età e 38 di contributi versati), aggiornandoli in un secondo momento tenuto conto dei dati sull’aspettativa di vita assieme al calcolo dell’assegno interamente con il sistema contributivo. «Con un coefficiente di riposizionamento sull’assegno pari 3% l’anno con tre anni di anticipo si perderebbe circa il 10% dell’importo che si avrebbe uscendo a 67 anni», sottolineava Brambilla sul “Corriere della Sera”. Sarebbe questo compromesso che potrebbe trovare punto di contatto tra MEF e sindacati, ben più accettabile del 30% di taglio avanzato dalla proposta del Governo nel precedente tavolo del 15 febbraio. (agg. di Niccolò Magnani)
LA CIRCOLARE INPS
Come riporta Ansa, l’Inps ha precisato in una circolare diffusa al termine della scorsa settimana che “nel 2023 i requisiti per l’accesso alla pensione adeguati all’incremento della speranza di vita non cambiano per cui si andrà in pensione di vecchiaia a 67 anni e in pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi le donne)”. Più nello specifico, in base al decreto del Mef e del ministero del Lavoro dello scorso anno, “fermo restando l’adeguamento alla speranza di vita già applicato dal 1° gennaio 2021 che non ha previsto alcun incremento a decorrere dal 1° gennaio 2023, in attuazione di quanto previsto dal decreto 27 ottobre 2021, i requisiti pensionistici non sono ulteriormente incrementati”. Va precisato, quindi, che “i requisiti per l’accesso alla pensione potranno cambiare dal 1 gennaio 2025 per la pensione di vecchiaia e dal 2027 per quella anticipata”. I requisiti anagrafici restano invariati nel 2023/24 anche per il pensionamento del personale appartenente al comparto difesa, sicurezza e vigili del fuoco.
RIFORMA PENSIONI, L’ANALISI DI CAZZOLA
Tra i tanti dati contenuti nel nuovo Rapporto di Itinerari previdenziali ve ne sono anche di relativi agli iscritti alla Gestione separata dell’Inps, tutti sottoposti al regime contributivo. Giulia Cazzola, ricorda in merito che sarebbe un errore rivedere al ribasso le aliquote contributive, in taluni casi anche piuttosto consistenti, degli iscritti, perché “nel regime contributivo (a differenza di quello retributivo) le aliquote non sono un optional; più sono elevate, regolari e stabili, più s’incrementa il montante da moltiplicare con il coefficiente di trasformazione ragguagliato all’attesa di vita al momento della decorrenza della pensione”. Se, dunque, “si paga meno durante l’attività lavorativa”, allora “si incassa meno da pensionati”.
LA RICHIESTA DI SBARRA
L’ex deputato, in un articolo su startmag.it, ritiene che sarebbe “molto meglio adottare misure di opting out (il problema non è affrontato nel Rapporto) che consentano di stralciare e destinare volontariamente alcuni punti dell’aliquota obbligatoria (max 6) per finanziare una forma a capitalizzazione, dal momento che le categorie appartenenti alla Gestione separata non dispongono del tfr che è la principale fonte di alimentazione dei fondi complementari dei lavoratori dipendenti, a parità di costo del lavoro e di retribuzione”. Intanto, Luigi Sbarra, Segretario generale della Cisl chiede al Governo “un intervento forte di riduzione della tassazione fiscale verso i lavoratori dipendenti e i pensionati”, in modo da proteggere il loro potere d’acquisto minacciato dal caro energia.
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