Nei primi mesi dell’anno tutti gli addetti ai lavori, ma soprattutto tutte le lavoratrici e i lavoratori, aspettavano con ansia il mese di aprile con la presentazione del Def per vedere cosa era vi contenuto riguardo alla tematica, sempre attualissima, della previdenza.
I primi mesi si erano aperti con molte speranze di una revisione robusta della legge Fornero e addirittura i più ottimisti speravano che entro aprile si potesse trovare un’intesa di massima tra il Governo e le organizzazioni sindacali così da inserire nel Documento di economia e finanza alcune linee guida da attuare per la prossima futura riforma della previdenza.
Dopo i primi due promettenti incontri tra il Governo e le parti sociali, però, le successive settimane avevano evidenziato una scarsezza di notizie interrotte solo da elementi negativi. In realtà, erano situazioni che gli addetti ai lavori, e in primis il Governo, conoscevano benissimo, come l’esiguità degli importi degli assegni previdenziali nell’anno 2022 in Italia con i due terzi sono sotto i 1.000 euro mensili, oltre il 50% sotto i 750 e addirittura il 25% sotto i 500, l’enorme differenza di genere sugli importi percepiti tra maschi e femmine con svantaggi di queste ultime nell’ordine del 33% e i recentissimi dati Istat sulla natalità che per la prima volta in Italia in 150 anni ha fatto precipitare i nuovi nati sotto le 400.000 unità.
Se poi aggiungiamo a questo un’inflazione ancora intorno al 7%, che determina un aumento degli interessi da pagare sui titoli di stato, le risorse per adeguare anche se parzialmente le pensioni al costo della vita nel 2024, e una guerra in cui giocoforza siamo coinvolti con aumento delle spese militari era del tutto logico che il Def non potesse contenere praticamente nulla in ambito previdenziale.
Abbiamo poi assistito alle solite, stucchevoli, dichiarazioni dei partiti di maggioranza che elogiavano quanto fatto “come indice di serietà da parte di un Governo che vuole tenere i conti in ordine” e le affermazioni dei partiti di opposizione che invece denunciavano il poco coraggio da parte di un Esecutivo che avrebbe dovuto invece “forzare la mano e imprimere quella svolta economica che potesse far ripartire il Paese”. Sono entrambe affermazioni di comodo che non portano nulla di concreto alla soluzione di un problema enorme che i nostri politici non sanno o non vogliono affrontare.
In realtà, il Def è solo un contenitore dove sono riportati gli obiettivi di programmazione economica, ma non è la Legge di bilancio, col Def non viene approvata alcuna legge. Il Governo, come quasi tutti i precedenti, naviga a vista. Vedrà come andranno i conti nei prossimi mesi, sperando molto nel turismo, da sempre ancora di salvataggio dell’impresa Italia, e se la situazione economica migliorerà, nella Nadef, o meglio ancora nella Legge di bilancio in ottobre, potrà mettere in cantiere ulteriori misure sulla previdenza come una certa flessibilità in uscita e magari una Quota 102 (41anni di contributi + 61 di età) per tacitare l’elettorato da troppi mesi preso in giro con promesse che, difficilmente, potranno essere mantenute.
All’inizio dell’anno scorso affermavo che il 2022 per la situazione che si era creata con in pratica quasi tutti i partiti al Governo poteva e doveva essere l’anno buono per una seria riforma previdenziale che tenesse conto di tutte le categorie che compongono il variegato universo previdenziale. Per affrontare e risolvere una problematica che interessa milioni di cittadini e soprattutto i giovani che vedono la pensione come un miraggio occorrono le competenze di tutte le forze politiche e non di un Governo che agisca da solo. Con un sistema assistenziale ormai fuori controllo che deve essere separato dalla previdenza, con una natalità ai minimi storici dal 1861 e con un sistema a ripartizione, fra trent’anni se non si interviene immediatamente il rapporto lavoratori/pensionati scenderà pericolosamente con un lavoratore per ogni pensionato e lo Stato non sarà più in grado di erogare a tutti e compiutamente le pensioni.
Quindi, al di là di quello che ci sarà o meno nella Legge di bilancio, è tempo che i nostri governanti non siano politici ma diventino statisti non tutelando solo il presente e come stare in sella due/tre anni, ma pensando alle generazioni future. È necessario e non più procrastinabile lavorare a una legge previdenziale organica che abbia un suo iter parlamentare autonomo e che con l’apporto di tutti gli addetti ai lavori come politici di tutto l’arco costituzionale, sindacalisti, rappresentanti di categoria, esperti, si possa finalmente dare ai cittadini italiani una legge equa e rispettosa di tutti.
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