Il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali è un caposaldo del diritto previdenziale. Tale principio, enunciato in via generale dall’articolo 2116 del codice civile, riconosce il diritto del lavoratore alle prestazioni previdenziali indipendentemente dal fatto che il datore abbia o meno versato i contributi dovuti. Il lavoratore è tenuto a dimostrare che i contributi erano dovuti in relazione allo svolgimento una prestazione di lavoro; in tale caso anche se non effettivamente versati sono comunque utili ai fini del ai fini del conseguimento dei requisiti minimi per il diritto e il calcolo della pensione, purché non siano superati i termini della prescrizione.



Questa disciplina – molto importante nell’ambito della tutela dei diritti del lavoratore tanto da superare il sinallagma tra contributi e prestazioni – ha avuto un processo di implementazione normativa. Operante fin dall’origine dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (articolo 67 del Dpr n. 1121 del 1965), ha trovato attuazione piena per le prestazioni previdenziali temporanee (articolo 27 del Rdl n. 636 del 1939), ma non per le gestioni pensionistiche, in cui ha preso a operare solo in tempi successivi e in forma prima limitata.



Inizialmente, infatti, il principio valeva solo per il riconoscimento del diritto alla pensione minima; successivamente l’articolo 23-ter della legge n. 485 del 1972 ha poi precisato che detti contributi “sono considerati utili anche ai fini della determinazione della misura delle pensioni” (anche se l’azione di recupero nei confronti del datore di lavoro non va a buon fine). È stato così neutralizzato ogni possibile danno al lavoratore per le omissioni contributive. Per ottenere il riconoscimento del principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, il dipendente è tenuto a fornire all’Inps la prova della sussistenza del rapporto di lavoro, esibendo i documenti e le altre prove oppure idonea dichiarazione. Occorre però fare attenzione all’interruzione dei termini prescrizionali. Il termine per fare la segnalazione all’Inps è di cinque anni, dopo i quali il diritto alle prestazioni previdenziali cade in prescrizione.



In sostanza, riassumendo nel caso di omessa contribuzione si possono verificare tre diverse situazioni:

– i contributi non sono prescritti al momento in cui si verifica l’evento-rischio assicurato (ad esempio: compimento dell’età pensionabile). Il lavoratore, in forza del principio dell’automaticità delle prestazioni assicurative, consegue il diritto alla pensione;

– i contributi non sono ancora prescritti, ma l’evento-rischio assicurato si verificherà solo dopo la loro prescrizione (ad esempio: mancano ancora molti anni al raggiungimento dell’età pensionabile). Il lavoratore, fino al momento in cui i contributi possono ancora essere riscossi dall’Inps, può attivarsi contro l’inadempimento del datore di lavoro, in due modi: o presentando idonea denuncia all’Inps affinché provveda alla riscossione; oppure chiedendo in giudizio la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi stessi. In caso di mancato tempestivo recupero dei contributi da parte dell’Inps, l’Istituto stesso si rende responsabile nei confronti del lavoratore;

i contributi sono prescritti. In tal caso, non opera più il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali e non essendo più possibile la riscossione coatta dei contributi, il lavoratore, dal momento che la sua posizione assicurativa ha subito un pregiudizio irrimediabile, può chiedere nei confronti del datore il diritto al risarcimento dei danni o il risarcimento in forma specifica a mezzo di costituzione di una rendita vitalizia reversibile. La rendita ha la funzione di coprire la pensione o la quota di pensione che sarebbe spettata in relazione ai contributi omessi: gli importi a tal fine corrisposti all’Inps sono collocati nel periodo in cui i contributi avrebbero dovuto essere versati.

È a questo punto che interviene una norma (all’articolo 30) di un ddl (AC 1532-bis-A) di iniziativa del Governo, recentemente approvato dalla Camera e trasmesso al Senato. Il provvedimento è sostanzialmente ciò che si intende salvare del collegato lavoro alla legge di bilancio 2024.

L’articolo – si veda la scheda più in basso – prevede la possibilità per il lavoratore dipendente privato (o per i collaboratori in forma coordinata e continuativa), in caso di contributi pensionistici non versati per inadempimento del datore di lavoro (o del committente) e caduti in prescrizione, di richiedere all’Inps, con onere a carico del lavoratore, la costituzione di una rendita vitalizia. Tale possibilità è riconosciuta qualora sia decorso il termine di prescrizione per l’omologa richiesta (già prevista nell’ordinamento) da parte del datore di lavoro (o da parte del medesimo lavoratore in sostituzione del datore).

È in questa norma l’aspetto più innovativo, in quanto viene superata l’interpretazione dell’articolo 2116 del codice civile in base alla quale la tutela sopra esposta interessava esclusivamente i lavoratori dipendenti rimanendo esclusi dall’ambito di applicazione di tale principio i lavoratori autonomi e gli iscritti alla gestione separata.

Su quest’ultimo aspetto la giurisprudenza della Suprema Corte era intervenuta recentemente con particolare riferimento ai collaboratori coordinati e continuativi. Un lavoratore, rilevato il mancato versamento dei contributi da parte della società presso la quale aveva svolto attività di collaboratore coordinato e continuativo, ricorreva giudizialmente al fine di veder condannato l’ente previdenziale all’accreditamento della contribuzione mancante con l’intento di ottenere la pensione supplementare. La Corte di appello accoglieva il ricorso e l’ente previdenziale proponeva ricorso per Cassazione. La Suprema Corte, con sentenza n. 8789 del 17 marzo 2022, nell’accogliere il ricorso, affermava che il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali non trova applicazione nei rapporti di lavoro coordinati e continuativi, fatto salvo il diritto di rivalsa nei confronti della società committente (in questo caso il termine della prescrizione è decennale).

Praticamente la nuova norma – se approvata in via definitiva e se riportata correttamente nel dossier – opererebbe come un’interpretazione autentica del profilo di “prestatore d’opera” che è il soggetto della tutela. Presumibilmente la nuova norma si applicherebbe ai rapporti di collaborazione nei quali è il committente titolare del rapporto previdenziale. Diverso è il caso dei collaboratori con partita Iva o dei lavoratori autonomi che – per ragioni evidenti – devono provvedere agli adempimenti in prima persona.

Scheda

L’articolo 30 concerne, in primo luogo, i contributi pensionistici, relativi ai lavoratori dipendenti privati (o ai collaboratori in forma coordinata e continuativa, iscritti alla cosiddetta Gestione separata dell’Inps), non versati per inadempimento del datore di lavoro (o del committente) e caduti in prescrizione; la novella introduce, al riguardo, la possibilità di richiesta all’Inps, da parte del lavoratore e con onere a suo carico, della costituzione di una rendita vitalizia, qualora sia decorso il termine di prescrizione per l’omologa richiesta (già prevista nell’ordinamento) da parte del datore di lavoro (o da parte del medesimo lavoratore in sostituzione del datore).

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