GLI EFFETTI DELLA DEMOGRAFIA
Secondo Giuliano Cazzola, nel dibattito sulla riforma delle pensioni c’è “un limite culturale inaccettabile”, ovvero “non si tiene per nulla conto dei trend demografici che sono il tapis roulant dove si muovono i sistemi pensionistici. Come si fa a non vedere che quelli che vanno in pensione oggi appartengono a generazioni con un milione di nati ogni anno, mentre le nascite di oggi non arrivano a 400mila?”. In un articolo pubblicato sul Diario del lavoro, l’ex deputato evidenzia che “secondo le proiezioni dell’Istat alla metà del prossimo decennio, nel 2035, potrebbero esserci in Italia poco più di 5 milioni di persone in meno in età lavorativa (convenzionalmente dai 15 ai 64 anni). Come se sparissero tre grandi città come Roma, Milano e Napoli. Colpa della progressiva fuoriuscita dei baby boomers dal mondo del lavoro”. “Dobbiamo mandare in giro Greta Thunberg per denunciare una crisi altrettanto grave di quella del clima?”, è quindi la domanda con cui Cazzola conclude il suo articolo.
“QUOTA 102 RAGIONEVOLE MA NON RESTI COME LE ALTRE QUOTE”
Alla vigilia dello sbarco in Parlamento della Manovra di Bilancio 2022 e del vertice a Palazzo Chigi con i sindacati, il tema della riforma pensioni imperversa nelle discussioni politiche attorno alla Finanziaria: intervenuto a “Economia24” su Rai News24, Francesco Seghezzi Presidente della Fondazione ADAPT (Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali, fondata nel 20000 dal giuslavorsista Marco Biagi) ha fatto il punto sulla legge impostata dal Governo Draghi e inserita in Manovra.
«Soluzione ragionevole la Quota 102 nel 2022, ma l’obiettivo deve rimanere quello del contributivo individuato da Draghi, non deve essere una Quota una tantum come le precedenti che ci sono rivelate inutili e dannose. Inevitabile che l’età pensionabile cresca come individuava la Fornero ma con modifiche ed elasticità sulla flessibilità in uscita». In collegamento per commentare la riforma pensionistica anche il consulente del lavoro Enzo De Fusco si è detto concorde sul giudizio tutto sommato positivo dell’accordo trovato nel Governo, con un distinguo però: «punto di equilibro ragionevole quello del Governo, bisogna però evitare che l’aumento dei lavoratori gravosi veda elementi come le professioni degli estetisti, non mi sembra proprio una grande soluzione». (agg. di Niccolò Magnani)
LA DIREZIONE CHIESTA DALL’EUROPA
Come noto, nel testo della Legge di bilancio trasmesso al Senato il requisito anagrafico per accedere a Opzione donna è stato lasciato invariato rispetto allo scorso anno. Mauro Marino, in un articolo pubblicato su pensionipertutti.it, evidenzia che “sembra quasi che il Governo abbia giocato al gatto con il topo. Dapprima ha alzato di due anni i requisiti richiesti per l’accesso al pensionamento poi dopo le giuste richieste di tutti è tornato sui suoi passi ‘concedendo’ quello che c’era già. È un’opportunità sacrosanta per le donne avere la possibilità di uscire dal mondo del lavoro in anticipo, ma essere costrette ad accettare questa opzione dal punto di vista economico è troppo penalizzante” e “analogo discorso si può fare per Opzione Tutti di cui si parla dal 2023”. Secondo Marino, “Draghi con questi due istituti vuole velocemente andare nella direzione chiesta dall’Europa del contributivo per tutti. Compito delle OO.SS. e delle forze politiche di ogni schieramento introdurre dei meccanismi diversi e meno penalizzanti”.
L’APPELLO DI SENIOR ITALIA FEDERANZIANI
Come ricorda Roberto Messina, Presidente di Senior Italia FederAnziani, “tutti gli invalidi civili che hanno un’attività lavorativa, anche piccola o simbolica, si vedranno sopprimere l’assegno di invalidità di 287 euro” erogato dall’Inps. Per questo, come riporta quotidianosanita.it, lancia un appello ai ministri Orlando e Stefani “affinché trovino al più presto una soluzione per evitare che ora tante persone con disabilità civile si trovino a dover scegliere tra quel piccolo contributo e un lavoro che consente loro di restare integrati nella società, di sentirsi parte attiva della vita del Paese, di mantenere vive le relazioni con gli altri e dare il loro importante contributo. Insomma, da una parte ci sarebbe l’assegno di neanche trecento euro mensili, e dall’altro la possibilità di svolgere piccoli lavori che possono significare tanto per chi si trova in condizioni di difficoltà economica, ma che soprattutto rappresentano per molti anche un fatto di dignità a cui legittimamente non si vuole rinunciare”.
RIFORMA PENSIONI, LA PROPOSTA DELLA LEGA
Il Governo è pronto a incontrare i sindacati per parlare di riforma delle pensioni, ma, stando a quanto riporta l’Huffington Post, anche la Lega avrebbe da sottoporre all’esecutivo una propria proposta, che “sarà messa sul tavolo di Mario Draghi al momento opportuno, ma è già pronta: si potrà andare in pensione con 63 anni di età e 41 anni di contributi. Poi, dopo una transizione di due-tre anni, anche solo con una quota 41 secca, senza cioè un requisito anagrafico minimo”. La misura entrerebbe in vigore dopo Quota 102, quindi nel 2023 e “le simulazioni di questo schema parlano di finestre trimestrali, come avvenuto con quota 100, che porterebbero 14mila uscite anticipate nel 2023 e 13mila l’anno successivo, per poi andare a esaurirsi a partire dal 2026”.
LE STIME DEL GOVERNO SU QUOTA 102 & CO.
Intanto dalla relazione tecnica della Legge di bilancio emerge che, secondo il Governo, “saranno appena 55mila i lavoratori che il prossimo anno andranno in pensione in anticipo usufruendo dei tre canali – quota 102, Ape sociale e Opzione donna – che permettono di derogare ai requisiti della riforma Fornero”. Più nello specifico, le uscite con Quota 102 nel 2022 saranno 16.800, meno di quelle che dovrebbe derivare dall’Ape social che sono previste a quota 21.200. Per quanto riguarda Opzione donna, l’esecutivo evidenzia che dovrebbero averne diritto 22.500 donne, ma stima che solamente 17.000 di loro utilizzerà effettivamente questo canale di pensionamento anticipato. Un segnale del fatto che si tratta di una modalità di accesso alla quiescenza che risulta penalizzante per le donne.
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