Riforma pensioni, una nuova soluzione all’orizzonte?

Sembra che in materia di riforma pensioni vi sia “qualcosa di nuovo oggi nel sole”. In questi mesi abbiamo letto tante versioni delle esequie funebri di Quota 100 (qualcuno ha persino prefigurato una resurrezione in gloria) che ce ne occupiamo con tutta la cautela del caso. E senza rinunciare alle proposte più volte avanzate, grazie anche all’ospitalità de Il Sussidiario, secondo le quali la soluzione migliore sarebbe stata quella di non fare nulla e di rientrare un po’ ammaccati nella disciplina tracciata (e deviata in via sperimentale e temporanea) dalla riforma Fornero. 



Stavolta però si sono spesi quotidiani autorevoli e solitamente informati ed è stato chiamato in ballo – come autore della proposta – niente meno che il Mef. Ovviamente non si tratta di soluzioni (“anzi di antico”) a cui nessuno aveva pensato. Riformare le pensioni è come fare i figli. Ci potranno essere tecniche innovative, ma – con buona pace dell’identità di genere – si torna sempre a fare, più o meno, le stesse azioni tra un maschio e una femmina (magari con l’aiuto e la collaborazione di qualcun altro). Ciò vale anche per la riforma pensioni: ci deve essere un rapporto sostenibile tra i versamenti effettuati, l’importo del trattamento e la sua durata negli anni (tenendo conto pure dei superstiti). 



È facile capire come l’età del pensionamento dovrebbe contribuire alla garanzia di un equilibrio tra le suddette variabili (mentre da noi è il più delle volte la causa dello squilibrio dei conti e dell’iniquità del sistema). Quota 100 è stata una modalità di anticipo del pensionamento che non ha assicurato le finalità per le quali era stata adottata, e a caro prezzo per le finanze pubbliche. A questo proposito riportiamo le considerazioni svolte, da ultimo, dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani (OCPI) dell’Università cattolica di Milano. 

Riforma pensioni, chi ha beneficiato di Quota 100?

Le donne hanno utilizzato meno Quota 100: il 28,8 per cento di tutte le domande accolte al 2020 provengono da lavoratrici, mentre il lavoro femminile rappresenta il 42,5 per cento del totale degli occupati. 



– I lavoratori pubblici hanno utilizzato Quota 100 più di quelli privati: il 30,9 per cento delle domande proviene da dipendenti pubblici (gestione ex Inpdap), più del doppio rispetto alla loro quota sul totale degli occupati (14 per cento). Il 44,7 per cento delle domande è stato inoltrato da dipendenti privati, mentre il 24,4 per cento proviene da lavoratori autonomi. 

– In media per 100 lavoratori andati in pensione ne sono stati assunti solo 40: il tasso di sostituzione è stimato essere stato dello 0,4 in ognuno dei tre anni di applicazione di Quota 100. 

– I centisti sono stati soprattutto lavoratori a reddito più basso, anche se la differenza è rilevante solo per gli uomini. Gli uomini centisti percepivano un reddito annuo medio pari a 35.286 euro, contro i 43.393 euro percepiti da coloro che, pur essendo pensionabili, hanno continuato a lavorare. Le donne centiste avevano invece un reddito solo di poco inferiore a quello delle donne cha hanno preferito di continuare a lavorare (27.336 euro contro 28.638 euro). 

Qual è la proposta del ministro Franco sulla riforma delle pensioni?

Tutto ciò premesso quale sarebbe la proposta che il ministro Franco sta mettendo a punto? Si ipotizzerebbe un fondo per il prepensionamento da utilizzare con i requisiti ora previsti per Quota 100 (magari con qualche aggiustamento) di durata limitata fino al 2024, con un costo di 400 milioni il primo anno e di 2,5-3 miliardi a regime. Poi si completerebbe il trattamento al momento della maturazione dei requisiti ordinari. Non si comprende se questa modalità coesisterebbe con l’Ape sociale, per il quale la commissione tecnica presieduta da Cesare Damiano ha previsto delle modifiche per quanto riguarda i lavori gravosi (il caso degli edili che passerebbero da 36 a 30 anni di versamenti). 

Certo che le funzioni dei due istituti rischierebbero di sovrapporsi. Ciò che si può notare fin da adesso è la vicinanza di questa soluzione con quella prefigurata in un pdl (Ac 2855) presentato in gennaio dalla Lega alla Camera (primo firmatario Claudio Durigon). L’articolo 2 prevede di mantenere Quota 100 solo per i soggetti che svolgono lavori usuranti (la definizione ha un ambito più ristretto e definito di “logoranti”) individuati con i criteri già in uso ai fini dell’accesso all’Ape sociale o alla pensione per i lavoratori precoci, eliminando però – bontà loro – il meccanismo delle “finestre di attesa”. Ma il bello viene dopo. “Posto che tali soggetti sono generalmente già destinatari del sistema misto di calcolo della pensione, si propone che anche tale prestazione venga liquidata integralmente con il sistema contributivo” anche per i periodi regolati dal sistema retributivo. In sostanza l’utilizzo di Quota 100 resterebbe in vigore per una platea limitata di lavoratori in condizioni personali, famigliari e di lavoro “usuranti” (o almeno disagiate e tipizzate), per di più con l’applicazione di una penalizzazione economica quale il ricalcolo contributivo (e retroattivo) per l’intera anzianità di servizio. Ma Salvini le conosce queste cose?

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