PENSIONI SCUOLA, LE NOVITÀ PER GLI INSEGNANTI
Come stabilito dall’ultima Manovra di Bilancio in tema di riforma pensioni, entro il 28 febbraio 2022 il settore scuola – docenti e personale Ata – dovrà presentare le domande di pensionamento per l’anno in corso (con decorrenza dal 1 settembre 2022).
In attesa delle specifiche informazioni dettate dal Miur – in uscita nei prossimi giorni – quanto contenuto nella Finanziaria delinea già il quadro generale: si tratta dei lavoratori del mondo scuola che maturano 64 anni e 38 anni di contributi (la Quota 102) entro il fine anno, oppure che hanno maturato 58 anni di età e 35 anni di contributi entro la fine del 2021 (Opzione Donna). Con la proroga dell’Ape Sociale vi è una terza ipotesi per i dipendenti della scuola dell’infanzia, considerati “lavori gravosi”: requisiti, almeno 63 anni e di almeno 36 anni di contributi , in servizio per almeno 7 anni negli ultimi 10 ovvero per 6 anni negli ultimi 7. (agg. di Niccolò Magnani)
PENSIONI DIPENDENTI PUBBLICI, I NUOVI TERMINI
C’è tempo fino al 31 dicembre 2022 per le amministrazioni pubbliche nel voler sanare le omissioni contributive prescritte, ovvero anteriori al 31 dicembre 2017: in attesa di novità strutturali sulla riforma pensioni anche per i dipendenti statali, una modifica sul regolamento dei termini di prescrizione è stata indotta dall’ultimo Decreto Milleproroghe.
A renderlo noto il focus di “Pensioni Oggi” che riporta l’annuncio dell’Inps: «Sino al 31 dicembre 2022 le eventuali omissioni contributive riferite a periodi antecedenti il 31 dicembre 2017 (anziché al 31 dicembre 2015) non cadranno in prescrizione e, pertanto, le amministrazioni potranno continuare a regolarizzare gli estratti conto contributivi dei propri dipendenti e/o collaboratori iscritti alla gestione separata dell’INPS». L’ultimo decreto ha dunque previsto la possibilità per la PA di versare la contribuzione omessa entro fine 2022, senza andare incontro ad alcuna prescrizione e dunque «senza bisogno di ricorrere alla costituzione della rendita vitalizia per recuperare ai fini pensionistici il periodo prescritto dei propri dipendenti». (agg. di Niccolò Magnani)
RIFORMA PENSIONI, LA RICHIESTA DELLO SPI-CGIL
Come noto, dal 1° gennaio l’importo delle pensioni è cresciuto per via della rivalutazione. Come spiega Valter Cavasin del dipartimento previdenza dello Spi-Cgil, tuttavia, “non si può parlare di aumenti delle pensioni nel 2022, ma di un adeguamento che per forza di cose (siccome è riferito alla dinamica dei prezzi dell’anno precedente) è sempre in ritardo”. Come viene evidenziato in un articolo su collettiva.it, per il Sindacato dei pensionati italiano è essenziale “un vero adeguamento al costo della vita, da realizzare con più strumenti a cominciare dall’aumento del valore della quattordicesima mensilità insieme all’allargamento della platea dei beneficiari. Oggi sono compresi i pensionati con un reddito fino a due volte il trattamento minimo: lo Spi chiede di estenderlo fino a tre volte”.
LA SFIDA PER I FONDI PENSIONE
Tra l’altro, nonostante la rivalutazione, i pensionati rischiano di perdere potere d’acquisto a causa della crescente inflazione, indice che mette in difficoltà anche i fondi pensione, che finora hanno performato meglio del Tfr. Come evidenziato da Milano Finanza, infatti, “se l’inflazione dovesse continuare a salire e i mercati non fossero così brillanti come nel 2021, per i gestori previdenziali diventerebbe più difficile superare l’asticella del Tfr, come ha suggerito l’analisi realizzata da smileconomy per MF-Milano Finanza dello scorso 15 gennaio che ha elaborato a seconda dei possibili scenari di inflazione (all’1%, 3% e 5%) quale deve essere il rendimento minimo che i fondi pensione devono registrare per pareggiare il risultato del Tfr”.
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