RIFORMA PENSIONI, PARTITA RINVIATA A DOPO IL DEF
Il ministro del Lavoro Andrea Orlando, durante un’intervista alla trasmissione Radio anch’io, ha chiarito che il confronto con i sindacati sulla riforma pensioni potrà riprendere solo dopo che saranno stati affrontati temi più urgenti. In un articolo del Sole 24 Ore viene ricordato che la questione previdenziale non può essere elusa, vista la fine di Quota 100, e che evidentemente “si presenta un po’ come una delle spine nel fianco della vasta maggioranza che sostiene il Governo, in cui a ricoprire un ruolo non proprio trascurabile c’è la Lega. Che aveva imposto nel ‘Conte 1’ a tinte giallo-verdi pensionamenti anticipati con almeno 62 anni d’età e 38 di contributi”. Il quotidiano di Confindustria spiega che “la partita probabilmente si comincerà a giocare solo dopo la presentazione del Def” e che “Mario Draghi ha già bloccato sul nascere qualsiasi tentazione di proroga di Quota 100, ma ha anche evitato di citare la questione pensioni nel suo intervento davanti alle Camere”. Lo stesso Orlando, in Parlamento, si è limitato ad accennare al completamento dei lavori della commissione tecnica per la separazione tra previdenza e assistenza.
QUOTA 102 MEGLIO DELLA 92?
Dalla lunga lista di richieste-proposte-consigli-urgenze inviata dai sindacati Cgil-Cisl-Uil al Governo, emerge un dettaglio piuttosto chiaro: la riforma pensioni ipotizzata da Graziano Delrio, la Quota 92 in sostituzione della Quota 100 in scadenza, non convince le parti sociali. Piuttosto, i sindacati sul tema della flessibilità in uscita, sembrano preferire una riforma che si potrebbe già definire Quota 102 ovvero con 64 anni di età e fisso il parametro dei contributi (38 anni). Secondo il Ministro del Lavoro Andrea Orlando, come chiarito ieri, le urgenze immediate sono politiche attive del lavoro e ammortizzatori sociali ma i sindacati insistono sul fatto che nel tavolo di confronto delle prossime settimane vi sia anche la nuova riforma pensionistica. La possibile concreta a questo punto è che si potrebbe arrivare in autunno a definire in ultima analisi la legge che possa sostituire Quota 100, in scadenza per l’appunto il 31 dicembre 2021. Secondo Cgil-Cisl-Uil l’obiettivo è fissato: «necessario e urgente disegnare una riforma strutturale del sistema previdenziale che superi le attuali rigidità e che decorra dal gennaio 2022, alla scadenza di Quota 100. La riforma complessiva del nostro impianto previdenziale dovrà prevedere la possibilità di accesso flessibile alla pensione, il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori, la valorizzazione del lavoro di cura e del lavoro delle donne». (agg. di Niccolò Magnani)
LE LETTERE DELL’INPS
Il sito del Giornale torna a occuparsi delle lettere che l’Inps ha inviato ad alcuni pensionati chiedendo la restituzione di somme anche ingenti perché non dovute. Vengono citati due casi seguiti dall’avvocato Celeste Collovati dello studio Dirittissmo, con la richiesta di restituzione di 15.000 e 30.000 euro. Viene anche spiegato che “diversi pensionati spesso pagano senza impugnare la decisione dell’ente previdenziale”. Non bisogna dimenticare che “secondo quanto riportano le norme in materia, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato. Parole chiare che spiegano qual è la posizione del pensionato. E così anche la Cassazione è intervenuta nel merito con un verdetto del 2017: ‘L’ente erogatore, l’Inps, può rettificare in ogni momento le pensioni per via di errori di qualsiasi natura, ma non può recuperare le somme già corrisposte, a meno che l’indebita prestazione sia dipesa dal dolo dell’interessato’, ha spiegato la Suprema Corte. Insomma fate molta attenzione alle lettere choc dell’Inps. Prima di pagare meglio controllare le carte e impugnare la decisione dell’istituto di previdenza”.
LA SCADENZA PER L’INPGI
In un articolo su professionereporter.eu viene ricordato che c’è tempo fino al 30 giugno per risanare l’Inpgi ed evitare il commissariamento. L’unica misura che sembra esserci sul tavolo per scongiurare tale scenario è quella di una riforma pensioni che porti all’allargamento della platea delle figure professionali da far aderire all’Inpgi, in particolare di tutti i comunicatori, anche non giornalisti. Non si sa quale sia la posizione del Governo Draghi sul tema. In caso di commissariamento, viene spiegato nell’articolo, si andrebbe verso un equiparazione del “trattamento Inpgi a quello dell’Inps: oggi l’inpgi garantisce prestazioni migliori per pensioni di anzianità e disoccupazione. Retrodatare – come già preannunciato – l’adozione del calcolo contributivo di dieci anni (dall’entrata in vigore della legge Fornero). Questo provvedimento dovrebbe riguardare le pensioni future e non quelle in essere, per le quali si possono temere ricorsi giudiziari basati sui diritti acquisiti. Per poi far confluire l’Inpgi nell’Inps”. Ma c’è chi chiede una “garanzia pubblica” senza Inps.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI GALASSO
Vincenzo Galasso, in un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore, evidenzia come sia necessario “risolvere l’iniquità generata da Quota 100” e “rispondere alla domanda di flessibilità in uscita dal mercato del lavoro avanzata da lavoratori e imprese”. Istanze per le quali non sembra adatta una misura di riforma pensioni come Quota 102, che “potrebbe essere facilmente ascritta a quegli sprechi, a cui faceva riferimento Draghi nel suo discorso al Senato, che rappresentano un torto alle prossime generazioni, ‘una sottrazione dei loro diritti’. E non gioverebbe certo alla credibilità dell’Italia in Europa, dopo che quest’estate Quota 100 è stata usata come una clava dal governo olandese per evidenziare i vizi italici rispetto alla frugalità nordica”.
L’ALTERNATIVA A QUOTA 102 DAI 64 ANNI
Secondo l’economista, “bisognerebbe ritornare allo spirito originario della riforma Dini consentendo il pensionamento già a 64 anni, anche indipendentemente dagli anni contributivi, ma calcolando la pensione interamente con il metodo contributivo. Diversamente da Quota 100 (o 102), ma analogamente a Opzione Donna, ciò comporterebbe una riduzione della pensione attorno al 5-6% per ogni anno di anticipo. Questo taglio potrebbe essere evitato per alcune categorie di lavoratori in difficoltà, come già avviene oggi con l’Ape sociale. In altre circostanze, la riduzione delle pensioni potrebbe essere parzialmente compensata dalle imprese, che negli ultimi anni, in concertazione con i sindacati, hanno fatto uso di strumenti onerosi per modificare la struttura per età della loro forza lavoro”.