RIFORMA PENSIONI E INFLAZIONE: COME CAMBIANO I “CONTI”
Un altro aspetto che riguarda la riforma delle pensioni. Pochi giorni fa il Governo ha presentato la Nadef (la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza) dove sono enunciati tutta una serie di dati economici in netto miglioramento rispetto ai dati presentati nel Def (Documento di economia e finanza) in aprile. Solo per elencarne alcuni ricordiamo che nell’anno 2021 la crescita del Pil è prevista intorno al 6% rispetto al 4,5% di aprile, il disavanzo pubblico su Pil è stimato al 9,4% rispetto all’11,8, il saldo primario sarà negativo per 6 punti percentuali di Pil invece del previsto 8,5%, e il rapporto debito pubblico/Pil a fine anno si assesterà al 153,5% rispetto alle terribili previsioni della primavera che lo collocavano al 159,8%.
Nello stesso documento però sono indicate anche le previsioni sull’inflazione che stavolta sono riviste al rialzo. Rispetto alle previsioni di aprile scorso dove era indicata all’1,1% ora si prevede un rialzo dell’inflazione per l’anno 2021 all’1,5%. Ci eravamo un po’ dimenticati di quello che per anni è stato lo spauracchio di governi, risparmiatori e banche centrali e di quello che ha rappresentato fino a una ventina di anni fa l’incubo dei giovani che accendevano un mutuo per acquistare la prima casa. Tassi di interesse a due cifre che nei casi di mutui variabili aumentavano di centinaia di migliaia di lire ogni sei mesi.
Certamente oggi non siamo, fortunatamente, in quella situazione di cui ci eravamo quasi dimenticati ma con cui dovremo nuovamente fare i conti dal momento che già la Presidente della Bce Christine Lagarde ha preannunciato un’inflazione che nel 2022 dovrebbe arrivare al 2%.
Questo aumento dell’inflazione previsto in Italia per quest’anno intorno all’1,5% ha determinato quello che da un po’ di anni eravamo disabituati a considerare, visto che per anni l’inflazione è stata quasi a zero, la perequazione automatica degli assegni previdenziali. In pratica a ogni aumento dell’inflazione certificato dall’Istat corrisponde l’aumento automatico delle pensioni che in Italia sono oltre 22.000000.
È una regola sacrosanta perché i pensionati com’è noto non possono incrementare i propri redditi a differenza dei lavoratori dipendenti che godono degli aumenti contrattuali.
Ricordo che una trentina di anni fa, quando ricoprivo degli incarichi sindacali, per un periodo si parlò di agganciare gli aumenti contrattuali anche alle pensioni, ma non se ne fece nulla e per i pensionati l’unico aumento è rappresentato proprio dalla perequazione delle pensioni a seguito dell’inflazione che si è verificata nell’anno precedente.
Ci sono stati nel corso degli anni vari cambiamenti riguardo le perequazioni. L’ultima in ordine di tempo è quella introdotta dalla Legge di bilancio 2019 che ha rivisto il meccanismo con l’ottenimento della rivalutazione piena per le pensioni fino a tre volte il minino (il minimo del 2021 è di circa 515 euro). Fino a quattro volte il minimo la rivalutazione è al 97%, fino a 5 volte al 77% e così a scendere fino ad arrivare alle pensioni superiori a 9 volte il minimo (circa 4.635 euro lordi) con adeguamento al 40%.
Con la Legge di bilancio 2020 è stata effettuata solamente una piccola modifica, in particolare le fasce di trattamento fino a 4 volte il minimo sono state rivalutate al 100% dell’inflazione anziché al 97%.
RIFORMA PENSIONI, DAL 2022 PER I PENSIONATI INCREMENTI PIÙ FAVOREVOLI
Dal primo gennaio 2022 le pensioni, a meno di ulteriori revisioni, dovranno essere rivalutate con il vecchio sistema antecedente l’anno 2019 che assicura ai pensionati incrementi più favorevoli rispetto all’ultimo triennio in particolare per i redditi più elevati. Indicizzazione piena fino a 4 volte il minimo, al 90% fino a 5 volte, e al 75% per tutte le altre pensioni rimanenti.
Quindi, in teoria il 31 dicembre 2021 va in soffitta l’attuale sistema di perequazione e tornerà quello più favorevole ai pensionati. Oltretutto in merito alla riforma delle pensioni sul Governo esiste la spada di Damocle della Corte Costituzionale che nell’anno 2015 ha chiarito che anche se per motivi di deficit si debba ricorrere a delle limitazioni sulle rivalutazioni delle pensioni queste debbano essere di breve durata in modo da non sollevare il dubbio dell’incostituzionalità in merito alla durata di tali provvedimenti. In sostanza il Governo sarà quasi costretto a non modificare tale istituto per cui il prossimo anno si calcola che non meno di 4 miliardi di euro debbano essere trovati in sede di Legge di bilancio.
Nella difficilissima partita, pertanto, che si sta giocando in queste settimane riguardo a una nuova legge previdenziale con la cronica carenza di fondi e con l’Europa che ci monitora su questo capitolo di spesa perché ritiene, ingiustamente, che si spende troppo, bisognerà anche tenere conto di questo ulteriore costo non previsto all’inizio del 2021.
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