I 29 punti che costituiscono la piattaforma programmatica che accompagna l’avvio del secondo governo Conte, sembrano essere stati accuratamente predisposti per aggirare i nodi di breve periodo, in particolare i vincoli di bilancio, e i contenuti che potevano rimarcare le distanze tra le due principali forze della nuova maggioranza.
Sul primo aspetto, quello dei vincoli di bilancio, vengono offerte grandi rassicurazioni sulla volontà di rispettare i patti sanciti dal governo uscente con le autorità della Ue, ventilando comunque la possibilità di allentarli per l’ennesima volta.
Sotto sotto si confida di ottenere tale condizione quale premio per aver allontanato la prospettiva di un governo palesemente ostile verso i nuovi equilibri europei e per la comune esigenza di mettere in opera delle manovre espansive per contrastare le prospettive di un’imminente recessione economica internazionale.
Nel merito la bozza del programma espone un lungo elenco di propositi generici, che in larga parte potrebbero entrare nelle intenzioni programmatiche dei governi di qualsiasi colore (aumentare gli investimenti infrastrutturali, dare una mano a chi sta peggio, migliorare l’ambiente, fare più ricerca…), e diventa più originale quando manifesta la volontà di ridurre il cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro per migliorare le retribuzioni dei lavoratori con stipendi medio-bassi, di introdurre un salario minimo legale, di cambiare le politiche per l’immigrazione rafforzando il ruolo dell’Europa. Intenti che esprimono il senso di marcia della nuova compagine, ma che potrebbero essere declinati in modo assai diverso, se non addirittura opposto.
Sui nodi fondamentali che devono essere affrontati con scadenze immediate dal nuovo governo , ad esempio come reperire la trentina di miliardi per evitare l’aumento dell’Iva e far fronte alle spese indifferibili, ovvero quali decisioni assumere tra pochi giorni sulla Tav, sull’Ilva e sull’Alitalia, buio completo.
Vale allora la pena commentare quella che potrebbe essere l’evoluzione delle attività del nuovo governo, anche sulla base delle indiscrezioni che sono scaturite in questi giorni, valutando nel concreto i margini di iniziativa che potrebbero essere esplorati.
Anche immaginando un significativo allenamento dei vincoli da parte della Ue, la Legge di bilancio dovrebbe, innanzitutto, programmare un significativo taglio delle spese, almeno 15 miliardi, oppure aumentare la pressione fiscale, scelta che per il momento viene esclusa dalla nuova maggioranza parlamentare. Si confiderà sulla riduzione del costo degli interessi sul debito, grazie al calo dello spread, e sull’incremento delle misure di controllo sulla tracciabilità delle transazioni economiche per contrastare l’evasione fiscale.
Ma l’incognita delle spese è soprattutto collegata alla crescita esponenziale, scientemente voluta dal governo giallo-verde, della spesa previdenziale e assistenziale. L’ipotesi di ridimensionare il reddito di cittadinanza e quota 100 è suggestiva, ma difficilmente praticabile sul piano politico e su quello pratico.
Il Movimento 5 Stelle difficilmente accetterà una diminuzione dell’entità degli interventi legati al reddito di cittadinanza. Del resto, le domande già approvate hanno un effetto di trascinamento che pregiudica le coperture del 2020. Non bastasse ciò, è manifesta la richiesta del Pd di rimuovere i vincoli di accesso legati agli anni di residenza degli extra-comunitari lungo soggiornanti, che con tutta probabilità troverà sponde nei pronunciamenti della magistratura, e che potrebbe potenzialmente allargare la platea dei beneficiari ad ulteriori 800mila persone.
Sul piano legislativo è del tutto possibile anticipare la chiusura della sperimentazione di quota 100. Ma il solo annuncio di un intervento del genere comporterebbe la corsa alle domande, in condizioni di diritto acquisito, da parte dei 150mila lavoratori che hanno già maturato i requisiti senza avanzare sinora la domanda di pensione. Per non parlare del rischio di riproporre il tema degli esodati per le aziende che hanno sottoscritto accordi per accompagnare alla pensione i lavoratori in esubero nei prossimi tre anni.
Non resta, pertanto, che raschiare il barile. E per esperienza il barile significa rimodulare, cioè tagliare a breve, la quota degli investimenti pubblici e tagliare la spesa per il personale. Ovvero prolungare il blocco del turnover in vigore fino al novembre 2019, vanificando buona parte della promessa di ripristinare le assunzioni nel pubblico impiego.
Date le difficoltà, difficile immaginare grandi spazi per avviare una prima operazione di riduzione del cuneo fiscale e contributivo. Nelle stesse intenzioni dei proponenti questa viene annunciata come una manovra pluriennale rivolta a migliorare le retribuzioni. Ma l’unità di intenti finisce qui. Nelle intenzioni del M5s lo sgravio dovrebbe compensare le imprese per i costi da sostenere per gli incrementi salariali collegati all’introduzione del salario minimo legale. Confessando in questo modo di non voler introdurre un salario minimo di garanzia, ma di aumentare tout court i salari contrattuali tramite legge.
Nelle ipotesi avanzate dal Pd l’intervento si dovrebbe caratterizzare come un aumento delle detrazioni fiscali sui salari medio bassi (l’ipotesi avanzata è quella di 1.500 euro l’anno per i salari fino a 35mila euro, decrescente per quelli sino a 50mila euro), che riassorba al suo interno anche il bonus degli 80 euro mensili introdotti dal governo Renzi. In questo caso non ci sarebbe una riduzione del costo delle imprese, ma un ovvio beneficio diretto sul valore dei salari netti, con un costo a carico dello Stato stimabile in 15 miliardi nel triennio.
Non credo ci siano le condizioni perché il complesso delle problematiche esposte trovi risposte adeguate nella relazione che il presidente Conte si accinge a fare alle Camere per ottenere la fiducia. Ma i tempi per farlo dovranno essere comunque brevi. Il governo, è bene ricordarlo, è nato con il proposito di evitare al Paese i rischi di un’emergenza economica. A buon intenditor…