LE PAROLE DI ROMEO
C’è attesa per capire se prenderà forma e in che modo il Governo Draghi. La Lega, attraverso il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, ha spiegato che “se ci trovassimo davanti a una riedizione del governo Monti lacrime e sangue non saremmo disposti neanche a sederci a un tavolo e penso tutto il centrodestra”. Secondo quanto riporta Askanews, l’esponente del Carroccio ha ricordato che “noi abbiamo posto temi come l’abbassamento delle tasse, il riavvio dei cantieri, un piano vaccinale serio, cose che servono per uscire dalla crisi, ora serve dare fiducia ai cittadini e alle imprese. Su questi temi lasciamo le porte aperte ma prima si ascolta poi si decide, mantenendo il nostro ruolo di leadership nel centrodestra e con Salvini capace di moderare le varie sensibilità che ci sono”. “No alla patrimoniale, no all’aumento dell’Iva o alla riforma pensioni su cui Monti era intervenuto con l’accetta. In questo momento sono cose intollerabili, il Paese è allo stremo e ha bisogno di fiducia”, ha aggiunto.
LA SCORCIATOIA PRESA DAL GOVERNO MONTI
In un articolo pubblicato sull’Huffington Post Lorenzo De Sio spiega che “a parole il governo tecnico appare la soluzione a tutti i problemi” e in grado di prendere le decisioni migliori per il Paese. Tuttavia la realtà appare ben diversa. Il Professore di Scienza della politica alla Luiss cita l’esempio del Governo Monti. “In quell’occasione, un chiaro esempio di decisione politica, fraintesa come tecnica, fu quello della riforma delle pensioni. Di fronte alla necessità di rendere sostenibile il sistema pensionistico, c’era da prendere una decisione politica: su chi scaricare i costi della riforma? In assenza delle competenze tipiche della politica (identificare con pazienza i diversi interessi, mediare e costruire il consenso), il governo Monti prese la scorciatoia più rapida: evitare di mettersi contro i potenti sindacati dei pensionati, caricando prevalentemente il costo della riforma su chi ancora non era andato in pensione. Con il risultato, chiaramente prevedibile, che il tema delle pensioni è stato uno dei principali motori dei due terremoti elettorali che hanno squassato l’Italia nel 2013 e nel 2018”.
CORTE DEI CONTI: SOLVIBILITÀ INPGI A RISCHIO
Nelle ultime settimane si è parlato molto della situazione dell’Inpgi e delle misure di riforma pensioni utili a cercare di salvaguardare il futuro previdenziale dei giornalisti. Dalla Corte dei Conti è arrivato un giudizio pesante sulla situazione dell’Istituto nazionale di previdenza della professione giornalistica, riferita tra l’altro al 2018. Come riporta Ansa, infatti, la Corte ritiene che “anche alla luce delle proiezioni attuariali disponibili, gli effetti del progetto di riforma avviato nel 2015 e completato nel 2017 non appaiono sufficienti allo scopo di conseguire condizioni di equilibrio strutturale, armonizzando l’ordinamento Inpgi con il sistema previdenziale generale”. Le proiezioni del nuovo bilancio tecnico, riferito al periodo dal 2018 al 2067, non consentono di “mantenere la solvibilità prospettica”. La Corte dei Conti ha evidenziato anche la “particolare esiguità degli assegni pensionistici erogati, il cui importo medio unitario nell’anno in osservazione è stato di 1.594 euro”.
I DATI SULLE PENSIONI CANCELLATE
Secondo gli ultimi studi del Sole 24 ore di “Infodata” nell’anno terribile 2020 con la pandemia Covid-19 che ha imperversato nel nostro Paese, le pensioni “cancellate” hanno superato di 67mila unità i nuovi assegni entrati in decorrenza. Nel 2019 la differenza si era fermata a 655, enormemente cresciuta nell’ultimo anno: «dietro le 862.838 pensioni che non ci sono più c’è un numero minore di pensionati perché in tanti casi gli scomparsi cumulavano più di una prestazione», spiega il Sole 24 ore calcolando un 16% in più di pensioni cancellate dovute a decessi. In attesa di una riforma pensioni che si fa sicuramente “vicina” con l’emergere di un Governo tecnico guidato da Mario Draghi, è il presidente dell’ISTAT Blangiardo a fornire le ultime statistiche sull’anno appena passato, «nel 2020 ci siano stati 726mila morti. Mentre le nascite sarebbero scese sotto quota 400mila». (agg. di Niccolò Magnani)
LA RICHIESTA DI SALVINI SU QUOTA 100
Sergio Mattarella sta per incontrare Mario Draghi al Quirinale ed è probabile che l’ex Presidente della Bce verrà chiamato a guidare un governo che dovrà avere il supporto del Parlamento. Matteo Salvini, intervistato dal Corriere della Sera, fa sapere di non avere pregiudiziali sui nomi, ma di voler sapere cosa intende fare il nuovo Governo per valutare se offrirgli il proprio supporto o meno. La Lega intende però chiedere “un impegno a non aumentare in alcun modo le tasse. No alla patrimoniale, no agli aumenti dell’Imu. Chiunque voglia governare con la Lega, si chiami Draghi, Cartabia o Cottarelli, deve saperlo. E flat tax al 15 per cento e pace fiscale sulle cartelle esattoriali”. Per l’ex ministro dell’Interno, “le parole chiave sono lavoro, tasse e pensioni. No assoluto alla fine di quota cento. Qui rischiano di saltare due milioni di posti di lavoro, non si può pensare di tornare alla Fornero”. Dunque Salvini avanza una richiesta precisa in tema di riforma pensioni non semplice da accogliere, visto che già il Conte-2 aveva programmato di non prorogare Quota 100.
RIFORMA PENSIONI, LE CATEGORIE CHE LASCIANO PRIMA IL LAVORO
In un articolo su truenumbers.it, basato su dati Inps relativi al 2020, vengono spiegate le differenze che vi sono nell’età di ingresso in pensione a seconda della categoria di lavoratori cui si appartiene. Pe quanto riguarda la pensione di vecchiaia, nonostante l’età fissata sia “standard” per tutti e pari a 67 anni (salvo il caso dei lavori usuranti che godono di 5 mesi di anticipo), “sono i parasubordinati, quindi partite IVA e co.co.co, quelli che vi giungono più tardi, a 68,2 anni”, a causa probabilmente anche di carriere discontinue con meno contributi, mentre “i coltivatori diretti che usano la pensione di vecchiaia invece si ritirano a 67,4 anni, appena dopo commercianti e artigiani, a 67,2 anni e i lavoratori dipendenti, a 67,1. Più ‘fortunati’ i dipendenti pubblici, che in questo caso vanno in pensione a 66,4 anni, ancora prima dei 67 canonici”.
LE DIFFERENZE CON LA PENSIONE ANTICIPATA
Vi sono invece più differenze “nelle età di pensionamento di coloro che prediligono il ritiro anticipato. Che sono la maggioranza, 277.544 contro i 255.813 che utilizzano le pensioni di vecchiaia. In particolare nel settore pubblico, dove però l’età in questo caso è più alta che altrove, di 63,1 anni. Probabilmente per una minore urgenza di ritirarsi, essendo meno gravoso il lavoro. Al contrario i pochi subordinati che possono pensionarsi in anticipo lo fanno a 55,9 anni, contro i 61 anni dei coltivatori diretti, i 62,4 dei commercianti, e i 61,4 del gruppo più numeroso, quello dei lavoratori dipendenti”. Come noto, Quota 100 va in scadenza alla fine dell’anno e quindi questi dati potrebbero subire importanti variazioni dal 2022.