LE RICHIESTE DI ALTERNATIVA C’È

Per il post-Quota 100 Alternativa C’è chiede, come spiega Bianca Laura Granato, “una revisione del sistema pensionistico che ne mantenga comunque il carattere di equità e solidarietà”. La Senatrice, come riporta cn24tv.it, evidenzia la necessità di una riforma delle pensioni “che consenta di uscire dal mondo del lavoro dopo aver contribuito per 41 anni” e di “un sistema di flessibilità in uscita per i tanti lavoratori che hanno versato i contributi per almeno 20 anni e a 62 anni si troveranno a rischiare di perdere il posto di lavoro o in situazioni tali da necessitare di un pensionamento anticipato”. “Non pretendiamo la luna, chiediamo solo che venga riconosciuto il nostro diritto ad uscire da un mondo del lavoro che, per la sua crescente competitività, non è compatibile con un’età troppo avanzata”, aggiunge Granato, evidenziando che in questo modo si lascerebbe “spazio ai giovani, che sono figli di questo tempo e sanno come meglio incarnare le esigenze di un sistema produttivo in continua evoluzione”.



IL SALTO INDIETRO DI QUOTA 41

A proposito dello scalone che potrebbe scattare a fine anno con la scadenza di Quota 100, Guido Gentili sulla Prealpina evidenzia che occorre fare i conti con la realtà e coi risultati di Quota 100. “Questi sono più che deludenti e mostrano (secondo l’Osservatorio conti pubblici dell’Università Cattolica e l’Inps) che: per 100 lavoratori andati in pensione ne sono stati assunti solo 40, con un tasso di sostituzione dello 0,4; hanno aderito alla norma meno lavoratori del previsto (al 31 agosto 341.128, soprattutto maschi della Pa con carriera stabile); il costo finora ammonta a 11,6 miliardi, 30 mld quello cumulato fino al 2028. Il ministro dell’Economia Daniele Franco non intende prorogare Quota 100 e punta ad una soluzione ‘equilibrata’. Che certo non è quella più gettonata dalla politica e dal sindacato: si vada in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età. Con un costo monstre stimato di 65 mld per il periodo 2022-2030. Un nuovo salto all’indietro nell’imprevidenza sociale”.



LE PAROLE DI BONOMI SU QUOTA 100

Per Carlo Bonomi, la misura di riforma pensioni post-Quota 100 “non può risolversi in una Quota100 travestita, applicata magari ai 63enni invece che ai 62enni”. Secondo quanto riporta Lapresse, durante il suo intervento all’Assemblea di Confindustria ha detto: “Se volete un confronto su agevolazioni per i soli lavori usuranti, parliamone pure. Ma usuranti davvero, non l’ennesima salvaguardia dopo la raffica adottata in questi ultimi anni, che nulla aveva più a che fare né con gli esodati della Fornero, né con lavori realmente usuranti. Quel che sembra a noi è che gli oneri del sistema contributivo andrebbero riorientati finalmente al sostegno e all’inclusività delle vittime ricorrenti delle crisi italiane: cioè giovani, donne e lavoratori a tempo, invece che essere bruciati sull’altare del fine elettoralistico di prepensionare chi un lavoro ce l’ha. Quota 100 è stata un furto ai danni dei soggetti fragili del nostro welfare squilibrato, e può e deve davvero bastare così”. Parole che certamente provocheranno reazioni sia in campo politico che sindacale.



L’AUMENTO DELLA TASSAZIONE DA EVITARE

Secondo Sergio Corbello, “sarebbe davvero singolare che un Governo vocato a ridare slancio alla crescita, non solo per superare i danni della pandemia, ma anche per recuperare decenni di stagnazione, riorientando il Paese verso lo sviluppo, ponesse mano a interventi tributari sulla previdenza complementare suscettibili di frenare anziché stimolare l’espandersi di una categoria di investitori istituzionali non solo sempre più utili all’economia nazionale, ma anche socialmente indispensabili per assicurare pensioni adeguate alle prossime generazioni”. Il riferimento nelle parole del Presidente di Assoprevidenza, riportate in un articolo pubblicato su wewelfare.it, è all’ipotesi di una riforma fiscale che possa essere penalizzante per la previdenza integrativa. Dal suo punto di vista, quindi, l’attuale regime di tassazione delle prestazioni “non deve essere modificato con interventi penalizzanti per la previdenza complementare”. Vedremo se tra le misure di riforma pensioni ve ne sarà qualcuna dedicata al secondo pilastro della previdenza.

RIFORMA PENSIONI, LE INGIUSTIZIE DEL SISTEMA

In un articolo pubblicato su L’Avanti, Titti Di Salvo ha spiegato quelle che a suo modo di vedere sono “le ingiustizie maggiori, incongruenti con la realtà e anche con l’impianto contributivo del sistema” previdenziale “che ne dovrebbe garantire la flessibilità”. La prima è che “non tutti i lavori sono uguali”. Dunque bisognerebbe basarsi sui dati della commissione tecnica sui lavori gravosi in modo da poter avere un sistema più equo. La seconda ingiustizia riguarda la differente età di accesso alla pensione tra uomini e donne. “Le ragioni sono tante, ma tutte legate a discriminazioni e stereotipi di genere”, ha scritto l’ex deputata, secondo cui “un Paese moderno e migliore, per essere tale deve superare discriminazioni e stereotipi di genere e condividere il lavoro di cura”.

I CONSIGLI DI TITTI DI SALVO

Intanto sarebbe “bene riconoscere previdenzialmente, con contributi figurativi, il lavoro di cura a chi lo svolge e anche il lavoro familiare non retribuito. Per il 74 per cento, dice l’Ocse, a carico delle donne”. La terza e ultima ingiustizia riguarda i giovani, “condannati ad essere i futuri pensionati poveri. Il che li renderà sempre meno disponibili a versare i contributi per finanziare un sistema pubblico con loro molto avaro”. Per Di Salvo, quindi, “non potrà che essere questo il centro del cantiere” della riforma delle pensioni nel confronto “tra governo e parti sociali, alla vigilia della fine della sperimentazione di ‘Quota 100’. Per dargli un senso. Per rimettersi in sintonia con la realtà”.

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