RIFORMA PENSIONI. Finalmente abbiamo il nuovo Governo! Un Governo creato in tempi record e con la novità assoluta nella storia della Repubblica di una donna presidente del Consiglio a cui bisogna fare i migliori auguri.
Ma, passato il primo giorno di euforia fatto di foto, complimenti e articoli sui giornali comincia immediatamente per il nuovo Governo una fase difficilissima, con una situazione geopolitica da far tremare i polsi e con una realtà nazionale di un’inflazione come non si verificava da quasi quarant’anni, che costringerà l’Esecutivo, per effetto della giusta perequazione delle pensioni, a trovare 18 miliardi di euro a inizio d’anno e ad affrontare subito il problema del caro bollette per famiglie e imprese, alcune delle quasi proprio per questo motivo saranno costrette a chiudere.
È stato nominato il nuovo ministro del Lavoro nella persona di Elvira Calderone, consulente del lavoro e Presidente del Consiglio nazionale dell’ordine da parecchi anni, che è persona competente e che si è già messa al lavoro per risolvere il problema di una riforma delle pensioni che assilla milioni di cittadini italiani e che è impellente perché alla fine dell’anno vengono a scadere i tre istituti di Opzione Donna, Ape Sociale e Quota 102.
Sul tappeto al momento ci sono almeno tre opzioni di riforma delle pensioni. La prima è quella dei 41 anni per tutti a prescindere dall’età che resta l’obiettivo della Lega, condizionata, però, anche a una soglia d’età ipotizzata a 61 anni. Si avrebbe così una sorta di quota 102, ma con tre anni in più di contributi e tre in meno d’età rispetto a quella attuale.
C’è poi la cosiddetta Opzione Uomo che al pari di Opzione Donna – che verrebbe resa strutturale -, necessiterebbe di 35 anni di contributi e almeno un’età di 61 anni optando però completamente per il calcolo contributivo.
Infine, la proposta di riforma pensioni elaborata pochi mesi fa dalla Fondazione dei Consulenti del lavoro che prevederebbe una flessibilità in uscita da 61 a 66 anni per coloro che hanno almeno 35 anni di contributi mediante penalizzazioni non meglio definite.
Sono tutte ipotesi fatte filtrare da ambienti governativi dove, ovviamente, ancora non esiste un’idea definita che non fanno altro che creare ulteriore agitazione nei lavoratori. Anche perché tutte queste ipotesi non sono mai esattamente definite nella loro organicità e inoltre affrontano solo parzialmente quelle che sono le variegate problematiche di una riforma delle pensioni, dimenticandosi completamente dell’implementazione della previdenza complementare che diverrà inevitabilmente la seconda gamba del sistema previdenziale, del riscatto agevolato della laurea che all’attualità costa come un monolocale, del problema della natalità, che di questo passo ci porterà a dimezzare gli italiani in pochi decenni, di chi svolge lavori frammentari, dell’importo degli assegni previdenziali che saranno al limite della sopravvivenza, del problema delle imposte troppo altre che gravano sui pensionati e che accentueranno sempre più la fuga di questi all’estero.
Nel frattempo la nuova ministra del Lavoro Calderone ha convocato le parti sociali per la prossima settimana e un’emozionata Giorgia Meloni nel discorso programmatico alla Camera ha toccato anche il problema della previdenza dicendo che saranno confermati gli istituti in scadenza quest’anno e che l’impegno del Governo sarà quello di attuare una flessibilità in uscita e un intervento di modifica del calcolo del sistema contributivo per evitare che gli assegni previdenziali siano al limite della povertà.
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