LA FLESSIBILITÀ SVEDESE

In un articolo pubblicato su lavoce.info, Sandro Gronchi ricorda che in Svezia è prevista una forma di uscita anticipata dal lavoro a 62 anni che “dà diritto a ‘prestiti’ mensili sui quali è applicato il medesimo interesse sostenibile che remunera i contributi versati (in Italia, la crescita del Pil). Al compimento dell’età minima di pensione, il debito è rimborsato a valere sul montante contributivo e la pensione stessa è calcolata in base al montante residuo. La dimensione dei prestiti non può essere scelta liberamente per evitare che rimborsi troppo elevati compromettano l’adeguatezza della pensione. Infatti, è calcolata simulando la liquidazione di una pensione vera e propria. Allo scopo, a 61 anni, le coorti ricevono coefficienti provvisori per le età che precedono quella minima pensionabile (62‑64)”. Secondo l’economista, in Italia si potrebbe pensare a una riforma pensioni che introduca un meccanismo analogo per “sostituire le maldestre forme di pensionamento anticipato (diverse dalla pensione di anzianità)”.



LE PROPOSTE DELLA CISL

«Occorre un grande patto per il lavoro e la crescita che apra una vera stagione di partecipazione democratica ed economica»: così in una intervista sul Corriere della Sera il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra si dice soddisfatto per i primi risultati del Decreto Semplificazioni ma chiede di più per la riforma pensioni e il rilancio fiscale in vista della Manovra di Bilancio 2022. Le pensioni, continua il sindacalista Cisl, «sono un diritto e non un lusso» e su questo principio vengono ribadite le principali richieste al Governo (sempre in attesa di una convocazione al Ministero del Lavoro): «cogliamo l’età flessibile a partire dai 62 anni, 41 anni di contributi a prescindere dall’età (Quota 41, ndr) e poi abbiamo una serie di richieste per il trattamento dei giovani e delle donne». Per Sbarra gli accordi tra Governo e sindacati dovranno essere sempre più frequenti, coinvolgendo laddove possibile anche imprese e banche. (agg. di Niccolò Magnani)



LE PAROLE DI LANDINI

“Non si cambia il Paese senza il mondo del lavoro”. Inizia così l’articolo cui con la Stampa riporta i contenuti dell’intervista realizzata dal direttore Massimo Giannini a Maurizio Landini per la trasmissione “30 minuti al Massimo”. Secondo il Segretario generale della Cgil, il Governo deve accettare “di confrontarsi con noi su tutte le riforme, il coinvolgimento preventivo delle parti sociali deve diventare un vincolo, il lavoro delle persone deve essere una priorità della politica o sarà rottura sociale”. Quindi, “dal fisco alle pensioni, dagli ammortizzatori sociali alla pubblica amministrazione, ‘abbiamo le nostre proposte e devono tenerne conto’”. Da parte di Landini è quindi chiara la richiesta al Governo di riaprire il confronto anche sulla riforma delle pensioni, considerando anche quelle che erano le aspettative prima che ci fosse il cambio di esecutivo: individuazione delle misure per il post-Quota 100 con ampio anticipo e coinvolgimento dei sindacati. Arrivati a giugno, però, ancora non c’è stato un incontro con il ministro Orlando riguardante la previdenza.



IL PROBLEMA DEMOGRAFICO

Commentando le parole pronunciate da Ignazio Visco nel corso delle Considerazioni finali, Gigi De Palo evidenzia che “anche Bankitalia certifica chiaramente che c’è una diretta incidenza tra il calo delle nascite e la crisi economica italiana, il tutto aggravato dalla pandemia che avrà ancora un’onda lunga”. Secondo quanto riporta farodiroma.it, per il Presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari “è ormai evidente a tutti che la nuova questione sociale sia la denatalità che se non riparte farà crollare non solo pensioni e sanità, ma anche il Pil. Per questo sollecitiamo il Governo, oltre a impegnarsi per realizzare nel modo migliore possibile l’assegno unico e universale, a dare un chiaro segnale politico su questo tema anche per i fondi del Recovery Fund e a investire in politiche di respiro più ampio per il rilancio demografico. Su questo tema c’è una grande maggioranza che vede unite tutte le forze politiche, produttive, associative e mediatiche del Paese. Non perdiamo questa grande occasione”.

RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI BRAMBILLA

In un articolo pubblicato su L’Economia, l’inserto del Corriere della Sera, Alberto Brambilla ricorda come la riforma delle pensioni targata Dini abbia introdotto il sistema contributivo pieno, che rischia di penalizzare fortemente i giovani nei prossimi anni. Secondo il Presidente di Itinerari Previdenziali, “considerate le condizioni più favorevoli dei retributivi e misti, diviene indispensabile equiparare la condizione dei contributivi puri che la riforma Fornero ha molto svantaggiato con quella degli altri lavoratori eliminando i vincoli di accesso alla pensione pari a 2,8 volte il minimo per la vecchiaia anticipata e 1,5 volte il minimo per la vecchiaia con il rischio di aumentare da 67 anni a 71 anni l’età di pensionamento”.

I CAMBIAMENTI PER IL SISTEMA CONTRIBUTIVO

Dal suo punto di vista, inoltre, “considerando che il metodo contributivo non contempla una integrazione al trattamento minimo di cui oggi beneficiano circa il 25% dei pensionati (integrazione e maggiorazione sociale), per motivi di equità intergenerazionale e considerato che è proprio con i contributi di questi lavoratori che si pagano le pensioni attuali”, bisognerebbe “prevedere anche per i giovani ‘contributivi puri’ l’integrazione al minimo su valori pari all’integrazione al minimo o alla maggiorazione sociale”, che corrispondono a un importo tra 517 e 654 euro al mese, “calcolati maggiorando la pensione a calcolo in base al numero di anni lavorati”. Vedremo se questi “consigli” di Brambilla verranno accolti in un momento in cui si sta riparlando di inserire una pensione di garanzia per i giovani.

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