L’ASSEGNO CHIAVE DI MARZO
Con il nuovo anno le pensioni aumenteranno in virtù della rivalutazione rispetto al costo della vita. Come, riporta modena2000.it, Lorenzo Bonini, responsabile del patronato Inas Cisl di Reggio Emilia, spiega che “l’importo pensionistico lordo sarà rivalutato dell’1,7% (che è l’inflazione calcolata nel 2021) secondo questo schema: 100% di rivalutazione per importi pensionistici lordi mensili sino a 2062,32 euro; del 90% per le pensioni comprese tra 2062 a 2577,90 euro; e del 75% per la cifra eccedente 2577,91 euro”. Non va poi dimenticato che “oltre all’Irpef ci sono anche le addizionali regionali e comunali (ogni comune ha deliberato la propria) del 2021: le addizionali vengono pagate su 11 rate da gennaio a novembre dell’anno successivo a quello cui si riferiscono. Inoltre sulle rate di gennaio e febbraio, qualcuno potrò avere il saldo delle addizionali che si riferiscono al 2020, se ha ovviamente pagato di meno”. Tutto questo vuol dire che nella maggioranza dei casi per avere un’idea precisa del reale importo netto della pensione occorrerà attendere l’assegno di marzo.
APE SOCIALE E RIFORMA PENSIONI: IL PROBLEMA
Nelle prossime 72 ore il Governo approverà la Manovra di Bilancio 2022 con annesso pacchetto di norme per la riforma pensioni “provvisoria” (in attesa di quella strutturata ancora tutta da formulare per il 2023).
Resta un nodo però da dirimere e riguarda l’Ape Sociale: la Ragioneria Generale dello Stato ha lanciato un allarme in merito all’effetto deroghe dell’originario meccanismo dell’Ape. « L’abbassamento da 36 a 32 anni della soglia contributiva per l’accesso all’Anticipo pensionistico sociale della mansione “gravosa” di lavoratore edile è valida anche per i ceramisti, inseriti appunto tra le attività usuranti», sottolinea il focus di “Today” citando la nota della Ragioneria. I tecnici del Ministero dell’Economia, di contro, nella relazione sul maxiemendamento scrivono: «La modifica introdotta, anche se di entità apparentemente contenuta, in realtà altera l’istituto di Ape sociale per i lavoratori addetti ad attività gravose”, scrive la Ragioneria. In pratica il ritocco “di fatto indebolisce un requisito contributivo per l’accesso all’anticipo di pensione/prestazione che dovrebbe essere più significativamente elevato per soggetti che lavorano e non sono disoccupati». L’eccezione dei lavoratori edili per i quali viene concesso uno “sconto” di 4 anni sui contributi, per il Mef, resta un “precedente” pericoloso. (agg. di Niccolò Magnani)
LE TRE STRADE RIMASTE PER LA PENSIONE A 62 ANNI
Rispondendo a un lettore del sito orizzontescuola.it, Patrizia Del Pidio ricorda che dal 2022 si potrà accedere alla quiescenza a 62 anni solamente in tre modi: “Con l’opzione donna, per le lavoratrici dipendenti ed autonome, che raggiungono i requisiti richiesti dalla misura anche prima di questa età; con la pensione anticipata ordinaria, ma solo per chi maturati i 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne un anno di contributi in meno); per i precoci che hanno maturato almeno 41 anni di contributi e che appartengono ad uno dei profili di tutela individuati dalla normativa della quota 41”. L’esperta previdenziale evidenzia che “il pensionamento a 62 anni resta possibile anche con la Rita, ma in questo caso non si tratta di un pensionamento anticipato, bensì di un accompagnamento alla pensione di vecchiaia finanziato da un fondo pensione integrativo che consente di ricevere una rendita mensile (basata sul capitale versato nel fondo)”. Dunque, per usufruirne bisogna aver versato per almeno dieci anni contributi in un fondo di previdenza complementare.
RGS CONTRO SCONTO CONTRIBUTIVO APE SOCIAL
Come noto, tra le misure di riforma pensioni contenute nella Legge di bilancio c’è anche la riduzione da 36 a 32 anni del requisito contributivo necessario ad accedere all’Ape social per edili e ceramisti. Una misura che, spiega Il Sole 24 Ore, viene “criticata” dalla Ragioneria generale dello Stato, secondo cui “la modifica introdotta, anche se di entità apparentemente contenuta, in realtà altera l’istituto di Ape sociale per i lavoratori addetti ad attività gravose”, perché “di fatto indebolisce un requisito contributivo per l’accesso all’anticipo di pensione/prestazione che dovrebbe essere più significativamente elevato per soggetti che lavorano e non sono disoccupati”. La Rgs teme anche che questa riduzione possa rappresentare un “precedente” “per ulteriori richieste da parte dei lavoratori che esercitano altre attività incluse nella lista dei lavoratori gravosi”. E dire che la richiesta originaria, fatta dalla commissione tecnica presieduta da Cesare Damiano, era di abbassare il requisito contributivo a 30 anni.
RIFORMA PENSIONI, L’ANALISI SUI DATI INPS
Adnkronos ed Expleo hanno fatto il punto sulla situazione degli ultimi anni dell’Inps e ricordano qual è, in base ai dati dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, l’identikit del “centista”, ovvero di chi ha fatto ricorso a Quota 100, la misura di riforma delle pensioni che sta per lasciare il passo a Quota 102. “Le domande accolte nel 2020 provengono per il 50% da lavoratori del settore privato (in crescita rispetto al 42,7% del 2019), per il 26,4% da parte di lavoratori autonomi (contro il 23,7% del 2019) e per il 23,6% da lavoratori del settore pubblico (10 punti percentuali in meno rispetto al 2019). A livello di gender, le domande accolte nel 2020 dall’Inps da parte di lavoratrici sono state il 30,1% contro il 69,9% da parte dei lavoratori”.
L’IDENTIKIT DEL “CENTISTA”
Sempre in base al 20° Rapporto annuale dell’Inps, risulta che “la maggior parte dei richiedenti ovvero il 45% nel 2020 risiedeva nel Nord, contro il 33% del Sud e il 21% del Centro Italia. Dati praticamente identici al 2019 quando erano: 44% al Nord, 34% al Sud, 22% al Centro. Infine, a livello reddituale coloro che hanno scelto di andare in pensione con Quota 100 sono sopratutto lavoratori con un reddito medio annuo più basso. In particolare al 2020 i ‘centisti’ uomini percepivano un reddito medio annuo pari a 36.887 contro i 42.901 euro percepiti da coloro che hanno preferito continuare a lavorare. Tra le donne invece tale differenza risulta meno marcata: il reddito medio annuo delle ‘centiste’ si è attestato a 27.774 euro contro i 28.406 euro percepiti dalle lavoratrici ancora attive”.
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