“RESTYLING’ QUOTA 100 DA GENNAIO
Secondo quanto riportato da il Sole 24 ore, da gennaio scatterà il vero e propri tavolo “tecnico” per provare nei prossimi mesi il restyling vero e proprio della riforma pensioni di Quota 100: «studiare la “gravosità” delle occupazioni e analizzare la spesa pubblica in materia previdenziale ed assistenziale fornendo utili indicazioni entro il 31 dicembre del 2020 per correttivi e riorganizzazioni». Questo è l’obiettivo che le due commissioni tecniche – una al Cnel l’altra al Ministero del Lavoro – dovranno mettere sul tavolo per consentire al Governo Conte-2 (o ai successivi) di adottare cambiamento anche radicali sulla riforma pensionistica in Italia. Il punto principale, sottolineano ancora al quotidiano economico milanese, è quello di trovare «la strada più idonea per superare lo scalone che si creerà tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 quando termineranno i tre anni di sperimentazione di Quota 100». Ad oggi, l’ipotesi più probabile resta quello di configurare l’erogazione della Quota 100 (alzando i requisiti minimi a 64 anni e 36 di contributi) sul regime unicamente contributivo, come già venne fatto con Opzione Donna. (agg. di Niccolò Magnani)
ALLARME OCSE SU RIFORMA PENSIONI
Secondo l’ultimo studio dell’Ocse “Pensions at a Glance 2019” vi sarebbero non poche preoccupazioni attorno al destino della riforma pensionistica del sistema italiano, con il “regime del contributivo” che ha cercato di porre un limite all’uscita in pensione addirittura prima dei 64 anni di età. «Le donne, in particolare, lasciano il lavoro a 61,5 anni, mentre gli uomini si fermano a 63,3 anni. Tutto ciò, però, innesca un problema: i lavoratori attuali e futuri non saranno in grado di sostenere il gettito del sistema pensionistica», spiega l’Adnkronos sui dati Ocse. Per questo motivo i nuovi sistemi, dal 2020 in avanti, dovranno portare il contributivo a “far uscire” i lavoratori (ovvero i giovani di oggi) non prima dei 71 anni di età: l’unica alternativa, ad oggi, è l’uscita a 64 anni di età ma solo dopo aver maturato un assegno a 2,8, (1.300 euro al mese).
BELLANOVA “RIVEDERE RIFORMA QUOTA 100”
Con un Governo già “in subbuglio” per il caso Fioramonti e per le imminenti nuove scadenze su giustizia e legge elettorale, torna a far discutere ancora la riforma pensioni di Quota 100 con i renziani per nulla disposti a “mollare la presa” sulla revisione semi-totale della riforma pensionistica sigillata da Lega e M5s nel primo Governo Conte. Dopo la conferenza stampa di ieri del Presidente del Consiglio che ha di fatto confermato l’impianto completo della Manovra di Bilancio, il Ministro dell’Agricoltura – nonché capo delegazione di Italia Viva nel Governo giallorosso – Teresa Bellanova ha lanciato nuovi “messaggi” ai compagni di esecutivo nell’ultima intervista a Repubblica. «Mi aspetto che il governo cambi passo e che non ci siano totem. Sul reddito di cittadinanza facciamoci una domanda e diamoci una risposta: quelle risorse vanno indirizzate in modo più proficuo. Su quota 100, io non ho cambiato idea, il Pd evidentemente sì, se non pensa più ad abolirla», attacca la titolare delle Politiche Agricole, sottolineando come non sia la qualità di parole che si utilizzano a dare la cifra del Governo, bensì «la qualità delle proposte che si avanzano, a fare la differenza». (agg. di Niccolò Magnani)
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI BALDUZZI
Le dichiarazioni di Pasquale Tridico al Messaggero sono state commentate sullo stesso quotidiano romano da Paolo Balduzzi, docente di Scienza delle finanze, che evidenzia come dalle parole del Presidente dell’Inps “la logica che emerge è quella di un sistema ben più sano di come venga presentato e in grado di continuare a mantenere le stesse promesse di un tempo, salvo piccoli aggiustamenti. Non è affatto così, ed è tempo di stracciare questo velo di ipocrisia”. Per Balduzzi, infatti, anche tenendo conto della spesa per assistenza e delle tasse riversate nelle casse dello Stato, “i confronti internazionali che tengono conto anche di queste correzioni ci posizionano ancora tra i Paesi in cui più si spende”. In più, i pensionati italiani non sono certamente troppo poveri se “in media, nel 2017, il reddito netto di un pensionato era pari a circa 14.600 euro (quasi 18.000 euro lordi)”.
I PRINCIPI DA NON IGNORARE
L’editorialista del Messaggero ricorda anche che “chi va in pensione, ancora oggi, ottiene in media ben più di quanto ha versato all’Inps nel corso della propria vita lavorativa”. Dal suo punto di vista, le norme di riforma pensioni “non possono più ignorare né l’esistenza in Costituzione di un vincolo di bilancio, né i principi di uguaglianza formale e sostanziale contenuti sempre nella nostra Carta. Allora forse anche la Corte costituzionale si accorgerà finalmente che quelli che ha sempre difeso non sono semplici ‘diritti acquisiti’, bensì ‘privilegi acquisiti’. E che forse potrebbero davvero essere toccati per rendere il sistema pensionistico più equo e rispettoso delle aspettative delle generazioni più giovani”.