RIFORMA PENSIONI. Si sta lentamente ricominciando a parlare di riforma pensioni. Un argomento lasciato volutamente nel cassetto per oltre tre mesi, in pratica dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, sta facendo nuovamente capolino nelle dichiarazioni dei politici e ricompare nei talk show. L’argomento previdenziale “tira” sempre e dall’autunno ritornerà prepotentemente alla ribalta perché a differenza dello scorso anno questo sarà argomento di campagna elettorale in vista delle votazioni nella primavera del 2023.
Come nella scorsa tornata elettorale del 2018 con “quota 100” anche in questa occasione la Lega cerca di prendere l’iniziativa monopolizzando un consenso su un argomento che interessa milioni di cittadini e che il partito di Salvini ha sempre cercato di cavalcare ottenendo larghi consensi. Stavolta per la Lega l’occasione da sfruttare è ancora più ghiotta perché non è un mistero che Fratelli d’Italia la sta superando nei consensi, l’argomento immigrazione è completamente offuscato dalla guerra e quindi, giocoforza, le pensioni dovranno essere uno degli argomenti principe della campagna elettorale. È infatti, al momento, il primo partito che si è mosso, incontrando i sindacati e mettendo sul tavolo i 41 anni di contributi per accedere al pensionamento. Ogni qualvolta viene intervistato anche su altri argomenti come le elezioni amministrative o la compattezza del centrodestra, Salvini se ne esce con dichiarazioni tipo “stiamo lavorando per eliminare l’odiata legge Fornero che se non interveniamo entro il 31 dicembre ritorna in tutta la sua rigidità”.
Anche il Ministro Orlando dopo mesi di silenzi ha fatto sentire la propria voce accennando a riflessioni sulle modalità di uscita dal mondo del lavoro attraverso forme di flessibilità e citando come l’età che cresce implica la necessità di rivedere l’organizzazione del lavoro, dei servizi sociali, e della previdenza,
Già queste parole di Orlando sono molto sibilline perché parlare di flessibilità e di età media in crescita potrebbe suscitare un certo allarmismo e parecchio sconcerto tra i lavoratori; infatti, tali affermazioni potrebbero far ipotizzare l’idea di un aumento dell’età pensionabile. Questo discorso dell’età media che aumenta che poteva valere fino a prima della pandemia si è bruscamente interrotto a causa degli oltre 167.000 decessi e non appena si conosceranno i dati definitivi sull’aspettativa di vita per gli anni 2021 e 2022 ci si renderà conto di come questa si sia ridotta durante la pandemia di quasi due anni tornando a una speranza di vita che si aveva alla fine dello scorso millennio. Al termine della pandemia l’aspettativa di vita lentamente tornerà ad aumentare e alla fine del decennio presumibilmente ci si troverà nella situazione del 2019.
Inoltre, ci sono le dichiarazioni dei sindacati che a turno, a parole e senza organizzare nessuna manifestazione in piazza, chiedono la modifica sostanziale della Legge Fornero, l’istituzione di una pensione di garanzia per giovani e donne e la riduzione delle imposte sulle pensioni.
Tutte belle parole, tutte dichiarazioni roboanti ma la verità vera è che il Ministro Franco (alias Draghi) al momento non si è assolutamente espresso in merito alla nuova riforma previdenziale. Sappiamo quanto Draghi tenga a mantenere il più possibile i conti in ordine relativamente alle pensioni e quanto lui abbia rassicurato Bruxelles sul fatto che nessuna riforma capillare sarà completata in questo 2022. È del tutto chiaro che la partita definitiva si giocherà in autunno, dapprima con la presentazione della Nadef e poi soprattutto in ottobre con la Legge di bilancio. Draghi prima di esporsi dal punto di vista contabile vorrà verificare l’andamento della stagione turistica, constatare se la pandemia sarà finalmente sotto controllo e soprattutto vedere se la guerra russo/ucraina sarà o meno terminata. Poi con il fido Ministro Franco esaminerà i conti e vedrà fino a che punto potrà spingersi in ambito previdenziale, cercando di calmierare i vari partiti che in piena campagna elettorale sbandiereranno grandi modifiche alla Legge Fornero facendo grandi proclami per ingraziarsi il corpo elettorale.
Eppure, a parer mio, una soluzione ci sarebbe e non sarebbe neppure troppo costosa. Concedere un’amplissima flessibilità per lasciare il lavoro che vada dai 62 ai 70 anni, operando lievi penalizzazioni se si vuole uscire prima del pensionamento ordinario e lievi incentivazioni se invece si opta di rimanere oltre l’età. In questa maniera i costi sarebbero molto limitati perché ci sarebbe, almeno in parte, una sorta di compensazione con assegni previdenziali, in molti casi, erogati per meno anni.
Per operare su questa direttiva, però, l’Esecutivo dovrebbe attivarsi immediatamente, studiando la problematica in termini di sostenibilità economica e operando delle simulazioni per verificare il costo annuale presunto. Successivamente convocare al più presto le organizzazioni sindacali in modo da arrivare alla Legge di bilancio con qualcosa di concreto. Diversamente si rischia, al pari dell’anno appena passato, di effettuare solo operazioni di “maquillage” e rinviare per l’ennesima volta la riforma previdenziale a data da destinarsi.
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