È una lotta contro il tempo per la presentazione della Legge di bilancio. Del resto, era abbastanza ovvio che votando il 25 settembre il Governo sarebbe stato nella pienezza delle sue funzioni dopo circa un mese e che un altro mese sarebbe servito per quella che è la legge più importante dell’anno. Comunque, oramai quasi ci siamo ed antro una quindicina di giorni sapremo, finalmente nero su bianco, quali saranno le scelte del nuovo Esecutivo in tema di politica economica e di riforma pensioni.
Al momento le certezze sono la firma apposta dal Ministro Giorgetti per la perequazione degli assegni previdenziali a causa dell’altissima inflazione che si è avuta nel 2022, cosa assolutamente non scontata con la crisi economica che stiamo vivendo, e il discorso di Giorgia Meloni in Parlamento al momento dell’insediamento del nuovo Governo. Il presidente del Consiglio nella sede istituzionale più consona ha affermato che, in ambito di riforma pensioni, quest’anno visto il poco tempo a disposizione e soprattutto perché la gran parte delle risorse saranno destinate ad alleviare il costo delle bollette energetiche per famiglie e imprese, saranno rinnovate solamente le norme in scadenza alla fine dell’anno, che bisogna facilitare la flessibilità in uscita con meccanismi compatibili con la tenuta del sistema previdenziale, ma che bisognerà, in futuro, intervenire per garantire alle giovani generazioni un assegno previdenziale adeguato, cosa che non avviene col sistema di calcolo attuale.
Quindi nella Legge di bilancio che sarà licenziata a breve ci sarà sicuramente, in tema di riforma pensioni, il rinnovo di Opzione Donna e Ape Sociale con gli stessi requisiti dell’anno in corso e poi, per venire incontro a Salvini da sempre fautore della Quota 41, ci sarà probabilmente una quota 102 che non sarà quella attuale (64 età + 38 contributi), ma formata da 41 anni di contributi sommati a una soglia di età che potrebbe essere quella dei 61 anni. In questo modo la Lega potrebbe dire di aver cominciato il percorso che la porterà alla fine della legislatura ai 41 anni per tutti indipendentemente dall’età e la Meloni mantenere la barra dei conti in ordine dal momento che l’eventuale quota 102 (41 + 61) non verrebbe a costare più di un miliardo l’anno.
Allo studio del Governo ci sarebbe poi un meccanismo di flessibilità in uscita a partire da 62/63 anni con penalizzazioni non ancora quantificate e una maggiorazione per chi invece avendo già raggiunto i requisiti del pensionamento decidesse volontariamente di rimanere sul posto del lavoro. Questa soluzione che io auspico da anni sarebbe l’uovo di Colombo per diminuire fortemente i costi della riforma pensioni dal momento che il maggiore costo che si avrebbe anticipando il pensionamento sarebbe compensato, almeno in parte, da chi decidesse invece di rimanere al lavoro qualche anno in più.
Il grosso della riforma pensioni, come anche affermato dal neo ministro del Lavoro Calderone, sarebbe, invece, procrastinato al prossimo anno attuando quell’intervento strutturale e duraturo che i lavoratori aspettano da anni, cominciando dalla separazione tra previdenza e assistenza, creando una pensione di garanzia per i giovani e implementando fortemente la previdenza complementare che diverrà, inevitabilmente la seconda gamba del sistema previdenziale italiano. Ma molto interesse destano le parole del Premier riguardo alla necessità di dare alle nuove generazioni un assegno previdenziale più congruo.
Recenti dati Inps evidenziano che oltre un terzo degli assegni in Italia è inferiore ai 1.000 euro lordi e con il sistema di calcolo contributivo attuale più passano gli anni, più l’importo diminuisce. Inserire questo aspetto il prossimo anno nella attuazione del progetto di riforma pensioni insieme a dei bonus previdenziali per le mamme con figli sarebbe un modo lungimirante di pensare al futuro superando il sistema della rigidità delle quote che da troppi anni esistono nel nostro sistema previdenziale.
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