QUOTA 41 TROPPO COSTOSA
Su corriere.it è stato ripreso uno studio della Uil secondo cui oggi più che mai “servirebbe una vera riforma pensioni che tuteli i lavoratori più anziani e permetta loro di accedere alla quiescenza. Specie per quanti hanno perso il lavoro o lo perderanno proprio a causa di questa pandemia. Servirebbe in particolare una “flessibilità intorno a 62 anni,” che “oltre a riallineare il sistema previdenziale italiano a quello che avviene in Europa, si configura come uno strumento importante per garantire una tutela alle persone che saranno espulse dal mercato del lavoro a causa delle conseguenze economiche della pandemia”. Sembra intanto tramontare l’ipotesi di introdurre Quota 41, dato che “le priorità del governo nel medio periodo saranno di dare liquidità a lavoratori, imprese e famiglie. E, secondo alcuni studi condotti prima dell’introduzione di ‘Quota 100’, passare a quota 41 avrebbe fatto salire la spesa a 12 miliardi già a partire dal primo anno”. La misura sarebbe insomma troppo costosa vista la situazione attuale.
LE PAROLE DI AMITRANO
Da tempo il Comitato Opzione donna social chiede che la misura sperimentale che consente il pensionamento anticipato per la platea femminile, a precisi requisiti e a patto però del ricalcolo contributivo pieno dell’assegno, non venga rinnovata di anno in anno, ma che abbia un orizzonte almeno fino al 2023. Orietta Armiliato ha quindi condiviso sulla pagina Facebook del Cods uno stralcio di una conversazione avuta con Alessandro Amitrano, membro M5s della commissione Lavoro della Camera, che riportiamo: “Al di là di altri elementi che possiamo approfondire insieme, intendendo strutturale mi riferisco alla proroga fino al termine ultimo di utilizzo. Per me è da evitare, una volta che si è fatta dovuta sperimentazione, continuare un rinnovo annuale quando si può portare fino a fine corsa il suo obiettivo. Dal momento in cui si sarà esaurita la platea nel senso che si andrà verso un sistema contributivo puro, secondo me, sarebbe opportuno rivedere l’età pensionabile in generale, anche in maniera facoltativa”.
LA RICHIESTA SULLE TASSE DEI PENSIONATI
In un lungo articolo pubblicato su caserta24ore.it, Giuseppe Pace, Segretario Provinciale del Partito Pensionati a Padova, propone di destinare i fondi che l’Italia riceverà dall’Europa per una misura di riduzione delle tasse destinata a chi è in quiescenza. Pace ricorda come il Governo Monti “bloccò la contingenza ai pensionati, atto antisociale solo per fare cassa, bastava tagliare le partecipate e le buonuscite ai dirigenti bancari e alti funzionari del parastato. I pensionati non devono essere tartassati da alcun governo perché sono, in periodo di crisi, il salvadanaio anche per figli e nipoti sottoccupati, precari e disoccupati”. Dal suo punto di vista i politici, sia a livello nazionale che locale, “hanno ancora in mente il suddito da abbindolare con la retorica e le facili promesse e non il cittadino da rispettare e al quale bisogna ridurre le tasse soprattutto se pensionato. Usiamo parte dei fondi europei per ridurre le tasse ai pensionati in primis!”. Vedremo se ci sarà un intervento di questo tipo.
BRAMBILLA: TASSE, PENSIONI E…
Sul Corriere Economia di oggi il Presidente di Itinerari Previdenziali, il professore Alberto Brambilla, prova a spiegare perché andare a colpire i redditi alti come tasse e tagli pensione non solo non serve a nulla ma porta «ad un vicolo cieco». Secondo l’ex consigliere economico della Lega, «L’1% degli italiani paga il 20% dell’IRPEF, gli assegni previdenziali più corposi sono spesso nel mirino di “tagli” o “prelievi”: quando si parla di tasse e pensioni, spesso la realtà è molto distante dalla narrazione di politica e media». Come già ripetuto nel suo ultimo saggio “Le scomode verità”, Brambilla attacca il Governo «Faremo l’ultimo errore di introdurre una ulteriore patrimoniale che ridurrebbe ancora l’esiguo numero di contribuenti? Taglieremo ancora la sanità?». Da un lato assistenzialismo senza crescita, dall’altro tagli ai redditi alti senza sviluppo: per Brambilla continuando di questo passo nel 2021 non sapremo chi e come potrà pagare le pensioni degli italiani. Serve una riforma ma serve subito, conclude il professore ed economista. (agg. di Niccolò Magnani)
IL RISCHIO DI UNA MANOVRA LACRIME E SANGUE
In un articolo sul sito del Giornale si evidenzia la possibilità che il Governo possa varare un piano “lacrime e sangue” che riguarderebbe anche le pensioni. Quando si tratterà di mettere a punto il Recovery plan, infatti, bisognerà anche tratteggiare delle misure per contenere la spesa pubblica in modo da non far aumentare troppo il debito pubblico. “E in questo quadro non si può nemmeno escludere un ritocco delle pensioni. Ancora una volta – dopo il 2011 con la riforma ‘lacrime e sangue’ approvata dal governo Monti – le pensioni potrebbero essere utilizzate per fare cassa”. “Fino a qualche mese fa sindacati e governo stavano discutendo su come fare per rendere più flessibile il sistema pensionistico italiano. Ora lo scenario è cambiato. E, semmai una riforma dovesse esserci, sarà solo per risparmiare sui conti pubblici”. Vedremo se effettivamente le cose andranno in questo modo, anche se sembra difficile immaginare un altro intervento all’insegna dell’austerità o una cancellazione di Quota 100 senza introdurre un altro meccanismo di pensionamento anticipato.
RIFORMA PENSIONI, LA DIVERSIFICAZIONE PREVIDENZIALE
Con i nuovi coefficienti di trasformazione approvati dal ministero del Lavoro, come già evidenziato nelle scorse settimane, le future pensioni saranno più basse delle attuali a parità di contributi versati. Di fronte a questa situazione, non determinata da specifiche misure di riforma pensioni, cosa può fare un singolo cittadino? A questa domanda, che diventa più importante tenuto conto che il Paese è appena entrato in una crisi dagli esiti incerti, Luca Di Gialleonardo, dalle pagine del Sole 24 Ore, cerca di dare una risposta, considerando che “laddove la ripresa economica sia più lenta del previsto”, ci potrebbe essere “un possibile ulteriore intervento in riduzione dei coefficienti di trasformazione”. Dal suo punto di vista, è fondamentale “una diversificazione previdenziale”.
I RENDIMENTI DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE
“Anche la previdenza complementare ha subìto gli effetti negativi della pandemia, con rendimenti a inizio anno che hanno ridotto di molto le ottime performance del 2019. Rendimenti che tuttavia stanno già mostrando una leggera ripresa e che si spera possano colmare la caduta entro fine anno. I nostri nonni ci hanno insegnato a non mettere tutte le uova nello stesso paniere e il discorso vale anche in ambito pensionistico. Affiancare alla previdenza obbligatoria che opera in un regime a ripartizione e basa la propria ‘redditività’ sulla sola economia italiana un ulteriore strumento di risparmio a capitalizzazione e che può spaziare su opportunità di investimento non necessariamente legate al solo andamento del Pil italiano potrebbe essere una buona strada da percorrere”, spiega Di Gialleonardo.