LA LETTERA CIA A CONTE E CATALFO

Dalla Confederazione italiana agricoltori arriva una richiesta precisa al Governo il confronto aperto con i sindacati sulla riforma pensioni. “Dal confronto appena aperto sulla revisione del sistema pensionistico è stata esclusa la categoria dei lavoratori autonomi. Ma si tratta di una platea di 4,3 milioni di persone, di cui 452.450 agricoltori, le cui problematiche rischiano di essere ignorate”, ha scritto il Presidente nazionale della Cia, Dino Scanavino, in una lettera indirizzata alla ministra del Lavoro Nunzia Caltafo e al Premier Giuseppe Conte. Nella missiva si chiede all’esecutivo di prevedere la costituzione di un tavolo anche sulle pensioni dei lavoratori autonomi, o l’ampliamento del tavolo di contrattazione già inaugurato con Cgil, Cisl e Uil, allargando il confronto anche alle altre organizzazioni di rappresentanza, come la Cia, anche perché le pensioni degli agricoltori italiani sono mediamente di 400 euro al mese, al di sotto quindi di quanto previsto dalla Carta sociale europea (40% del reddito medio nazionale, cioè almeno 650 euro).



LA RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO

Si è parlato spesso della necessità di una misura di riforma pensioni che guardi con più favore alle donne, che si ritrovano, a causa della discontinuità lavorativa e del livello di retribuzioni, con asseni pensionistici più bassi di quelli degli uomini. Come riporta l’Ansa, il Parlamento ha approvato una risoluzione per “colmare il divario salariale e pensionistico tra uomini e donne con misure vincolanti e l’applicazione del principio di parità di retribuzione a parità di lavoro”. Intanto Maurizio Landini, a margine dell’assemblea di Alleanza Cooperative, è tornato sul confronto tra Governo e sindacati sulla riforma pensioni, spiegando che “stiamo facendo quello che avevamo convenuto”. Il Segretario generale della Cgil, stando a quanto riportato da alanews.it, ha evidenziato che “l’obiettivo e rivedere la riforma delle pensioni. È stato fissato un calendario di incontri a febbraio con una verifica politica già a marzo: quest’anno bisogna portare a casa dei risultati. Poi deve attivarsi un confronto anche sul fisco”.



DATI INPS, 4 SU 5 IN PENSIONI PRIMA DEI 67 ANNI

Osservando ancora i dati Inps diffusi in mattinata circa gli assegni delle pensioni liquidate nell’anno appena concluso, un dato sugli altri salta all’occhio ed è il medesimo sul quale il FMI ha raccomandato un deciso dietrofront: 4 dipendenti su 5 sono andati in pensione prima dei 67 anni di età. Come annota il Sole 24 ore, sono 33.123 i dipendenti che nel 2019 hanno lasciato il lavoro a 67 anni con la pensione di vecchiaia, ai quali si aggiungono i 126.107 che sono andati in pensione anticipata quindi prima di questa età. Nel frattempo intervenendo a margine della assemblea di Confcooperative, il segretario generale Uil Carmelo Barbagallo ha lanciato un altro avviso al Governo circa l’urgenza di intervenire su una prossima riforma pensioni e del fisco: «il confronto deve proseguire su fisco e pensioni, ma serve un cambio di rotta nell’esecutivo». (agg. di Niccolò Magnani)



L’EFFETTO QUOTA 100 SULLE PENSIONI LIQUIDATE

L’Inps ha diffuso i dati relativi alle nuove pensioni liquidate nel 2019, dai quali si nota l’effetto della riforma pensioni con Quota 100. Le nuove pensioni sono state infatti 535.753, in linea con le 537.160 del 2019, ma, come evidenzia il sito di Repubblica, è stato “registrato un aumento consistente dei trattamenti anticipati (+29,4%) a 196.857 unità anche grazie all’introduzione della cosiddetta Quota 100 e all’aumento di cinque mesi per l’età di vecchiaia che dall’inizio dell’anno scorso è accessibile a 67 anni. Per le pensioni di vecchiaia nel complesso si registra un calo del 15,6% a 121.495, un numero molto inferiore alle uscite anticipate. Se si guarda soltanto al Fondo che riguarda i lavoratori dipendenti, la sproporzione è ancora maggiore: le pensioni di anzianità/anticipate pesano per il 42% delle liquidazioni dello scorso anno contro l’11% della vecchiaia (il resto sono superstiti al 37% e invalidità al 10%)”. L’importo medio complessivo delle nuove pensioni è di 1.126 euro: si va dai 1.873 delle pensioni di anzianità ai 685 per quelle di vecchiaia.

IL RISCHIO TAGLIO DEGLI ASSEGNI

I rilievi del Fondo monetario internazionale sul sistema pensionistico italiano non sono passati inosservati, tanto più che sono arrivati proprio quando si è appena aperto un confronto tra Governo e sindacati sulla riforma pensioni. Se da un lato poter andare in pensione all’età in cui si vuole è indubbiamente vantaggioso, dall’altro, come scrive Repubblica, un ricalcolo contributivo del futuro assegno porterebbe a una decurtazione dal 15% al 30% dell’importo. Ovviamente più si hanno contributi versati con il sistema retributivo, più alto rischia di essere il taglio dell’assegno. “Secondo uno studio della Uil-previdenza, ad esempio, un lavoratore che andrebbe a riposo a 62 anni, con 35 anni di contributi, con il sistema misto avrebbe un assegno di 12.726 euro. Con il cosiddetto “ricalcolo” contributivo perderebbe il 26 per cento dell’assegno, circa 3.300 euro”, aggiunge il quotidiano romano, ricordando anche che non sempre è facile ricostruire la storia contributiva dei lavoratori, come per esempio nel caso degli ex dipendenti pubblici.

RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI MANTOVANI

Anche la Cida ha partecipato al confronto tra Governo e sindacati sulla riforma pensioni. Il Presidente della Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità, Mario Mantovani, ha fatto sapere che“i tavoli tecnici sulle pensioni che la ministra del Lavoro intende aprire devono essere l’occasione per rendere il sistema più sostenibile ed equo, evitando strumentali contrapposizioni sulla base dei redditi percepiti e rifuggendo da demagogiche ‘controriforme’ che aumenterebbero, invece di ridurli, gli squilibri esistenti”. “Per il momento preferiamo confrontarci nelle sedi tecniche che il Governo sta predisponendo, invece di avventurarci in nuovi progetti di riforma delle pensioni. Un esercizio molto diffuso, ma che crediamo sconcerti i lavoratori invece di tranquillizzarli”, ha aggiunto Mantovani.

IL RAFFORZAMENTO DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Dal suo punto di vista, “il sistema ha certamente bisogno di superare le rigidità in uscita tipiche della legge Fornero e di ‘ammorbidire’ lo scalone determinato da Quota 100. Anche ai dirigenti pubblici e privati, interessa migliorare i meccanismi di flessibilità in uscita e siamo pronti a confrontarci sui temi del calcolo contributivo, della cessazione del divieto di cumulo, del contrasto all’evasione che non è solo fiscale ma anche contributiva, della previdenza complementare”. Per il Presidente della Cida, inoltre, occorre rafforzare il secondo pilastro previdenziale, perché “lo sviluppo della previdenza complementare apporterebbe benefici sia in termini d’integrazione del reddito da pensione”.