LE ASPETTATIVE IRREALISTICHE DEGLI ITALIANI SULLA PENSIONE
Da un sondaggio condotto da Progetica e Moneyfarm, come spiega Repubblica, emerge che gli italiani hanno delle aspettative sulla loro pensione che sono “irrealistiche”. In primo luogo perché ben il 76% di essi “vorrebbe poter smettere di lavorare prima dell’età della pensione”, ma “un buon numero di persone, il 32%, dovrà lavorare fino a 5 anni in più rispetto alle proprie attese; il 26% dovrà lavorare tra 6 e 10 anni in più rispetto alle attese; il 17% addirittura oltre 10 anni in più”. Inoltre, c’è una distanza importante tra la cifra attesa del futuro assegno e quella che realisticamente si potrà percepire. “La cifra desiderata in media tende a essere in linea, se non superiore, all’attuale stipendio del rispondente”, dicono i ricercatori. Fortunatamente, dati rassicuranti arrivano dall’Enpaf. Come riporta rifday.it, infatti, l’ente previdenziale dei farmacisti ha chiuso il 2020 con conti in utile e riserve che garantiscono una sostenibilità superiore ai limiti richiesti dalla normativa.
LE PAROLE DI LANDINI SULLA RIFORMA PENSIONI
No ritorno alla legge Fornero e nemmeno proposta Tridico, il leader della Cgil Maurizio Landini si accoda ai colleghi Bombardieri e Sbarra nel giorno dell’evento nazionale online dei sindacati sulla riforma pensioni: «Se le risposte non ci saranno o saranno negative dobbiamo valutare quali iniziative metteremo in campo per sostenere le nostre proposte e farle vivere nel Paese», spiega il segretario generale della Cgil all’iniziativa “Cambiare le pensioni adesso”. La richiesta preferita dal sindacato “rosso” riguarda l’estensione dei contratti di espansione, ricorrendo all’isopensione o altre forme «messe in campo in questi anni: l’idea è di aiutare i lavoratori ad andare in pensione e favorire l’ingresso giovani. Il tema della staffetta generazionale – ha aggiunto Landini – andrebbe affrontato in modo approfondito anche per non disperdere saperi e competenze». Per il n.1 Cgil il sistema pensioni italiano «non può essere solo contributivo. Deve avere al suo interno sistemi di solidarietà – conclude l’ex FIOM – Non esiste al mondo se non in Cile. Va fatta una pensione di garanzia per i giovani che è un minimo al di sotto della quale non poter scendere e che può essere un valido strumento di tutela contro i vuoti contributivi nelle carriere spesso precarie dei giovani e non solo». (agg. di Niccolò Magnani)
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI SBARRA
Durante l’iniziativa unitaria dei sindacati dedicata al tema della riforma delle pensioni, Luigi Sbarra ha detto che “pensare che dopo la fine di ‘quota 100’ sia possibile ritornare, senza colpo ferire, al modello Fornero con un salto anagrafico che per molti sarebbe di 5 anni (da 62 anni ai 67 anni della pensione di vecchiaia) significa non essere sintonizzati sulla realtà del Paese e sulla vita reale delle persone”. Il Segretario generale della Cisl ha anche sottolineato che “le pensioni non sono un lusso ma sono il giusto riconoscimento economico dopo una vita di lavoro. Oggi, definire 41 anni di contributi un ‘privilegio’ è una provocazione”. Il sindacalista ha quindi ricordato la proposta unitaria di una flessibilità a partire dai 62 anni di età, oltre a quella di una “‘pensione contributiva di garanzia’ che tenga conto dei periodi di lavoro, e di periodi che potremmo definire “qualificanti”: formazione, periodi di cura, disoccupazione involontaria”. In modo che si riesca “a garantire una pensione dignitosa anche a chi ha carriere di lavoro discontinue”.
I SINDACATI CONTRO LA PROPOSTA DI TRIDICO
La proposta di riforma pensioni avanzata nei giorni scorsi da Pasquale Tridico non convince i sindacati. Come riporta Il Manifesto, Roberto Ghiselli, Segretario confederale della Cgil, spiega che “noi siamo perché si possa andare in pensione a 62 anni senza decurtazione alcuna, mentre con la proposta di Tridico il taglio sarebbe molto pesante. Apprezziamo invece che Tridico rilanci la pensione di garanzia contributiva perché dobbiamo guardare al mondo del lavoro per come è e come sarà. Non esiste più la pensione minima e dunque serve uno strumento per aiutare chi è stato precario o disoccupato”. Per il suo omologo della Uil Domenico Proietti, quanto proposto dal Presidente dell’Inps è “estemporaneo e non percorribile”. “Come arriverebbero a 67 anni i pensionati solo con la parte contributiva della pensione pari a 5-600 euro? La flessibilità in uscita è necessaria ancor di più in vista delle ristrutturazioni aziendali dei prossimi mesi, mentre è tafazzismo puro che il governo abbia sostenuto ancora nel Def che la spesa pensionistica sia il 16% del Pil quando in realtà è molto minore”, spiega il sindacalista.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI MASTRAPASQUA
In un articolo pubblicato su formiche.net, Antonio Mastrapasqua evidenzia come si stia parlando molto delle ipotesi sul post-Quota 100, dimenticando però che il vero problema in tema di riforma pensioni non riguarda quella o quell’altra quota. “La pensione (e parlo di quella contributiva, non mi riferisco alle sacrosante – se controllate ed elargite solo ai veri bisognosi – forme assistenziali) non può essere sottratta al suo naturale alveo di riferimento: il lavoro. Il sistema a ripartizione collega stabilmente l’erogazione della pensione alla contribuzione dei lavoratori attivi. Se non c’è lavoro (e dignitosamente retribuito) non c’è contribuzione; se non c’è contribuzione non c’è pensione”, scrive l’ex Presidente dell’Inps, ricordando che “c’è un legame indissolubile tra il lavoro dei giovani e la pensione, non solo la loro pensione futura, ma la pensione della generazione che li precede, perché la pagano loro; così come la loro sarà pagata dai loro figli”.
IL PATTO GENERAZIONALE CHE SERVE ALL’ITALIA
Dunque, “il problema di ‘quota 100’ non è una nuova ingegneria previdenziale da allestire nella ‘fabbrica delle pensioni’, è il lavoro dei giovani. E il lavoro dei giovani non si produce prepensionando i meno giovani, ma favorendo l’imprenditorialità, semplificando il sistema produttivo, alleggerendo vincoli e fisco”. Per Mastrapasqua, “il patto generazionale di cui l’Italia ha bisogno non riguarda l’incontro tra due o più corporazioni – quella dei pensionati e quella dei Millennials o della generazione Z -, ma l’integrazione solidale di due o più componenti (non solo anagrafiche) dello stesso Paese”.