APE SOCIALE ALLARGATO, COSA CONSISTE

Secondo il “Sole 24 ore” quella che sembrava una sensazione negli scorsi giorni, potrebbe divenire un’autentica conferma nella prossima Manovra di Bilancio: la riforma pensioni dell’Ape Sociale potrebbe non essere più dal 2022 una misura sperimentale, bensì strutturale a tutti gli effetti e perenne.



Come noto, l’Ape sociale è destinata ai disoccupati da tempo, a chi assiste familiari o persone in estrema difficoltà e a circa 15 categorie di lavoratori impegnati in attività considerate usuranti. La platea andrà estesa, come spiegato nella Commissione ad hoc creata dal Ministro Orlando negli scorsi mesi: come riporta ancora “Il Sole”, il presidente della commissione tecnica sui lavori gravosi – l’ex Ministro Cesare Damiano – «conferma che non tutte le risorse fin qui destinate all’Ape sociale sono state spese. Ci sarebbero pertanto alcuni risparmi da utilizzare per potenziare questo strumento». Il problema non è tanto l’allargamento dell’Ape, quanto piuttosto il fatto che ai partiti la riforma pensioni “solo” in questi termini non basta e vorrebbero implementare altre misure per sostituire Quota 100.



RIFORMA PENSIONI, QUALE DESTINO DOPO QUOTA 100

Con la scadenza della riforma pensioni Quota 100 per la fine anno, come noto, le turbolenze all’interno di politica e sindacati sono cominciate già da mesi ma al momento il “tavolo” di discussione ancora non è stato convocato dal Ministro del Lavoro: due giorni fa il titolare dell’Economia Daniele Franco si è lasciato sfuggire che l’ipotesi principale a cui lavora il Governo sulla nuova riforma previdenziale ancora non può essere “svelato” ma presto sarà discusso insieme agli altri punti cardinali della Manovra di Bilancio.

Tradotto dal politichese, serve trovare prima l’equilibrio giusto tra le diverse (diversissime) anime dell’esecutivo prima di arrivare a discutere la proposta con sindacati e parti sociali: al momento le principali ipotesi per le nuove pensioni dal 2022 riguardano l’Ape Sociale “allargata”; il pensionamento dai 63 anni con riduzione sull’importo intero della pensioni (proposta Inps di 6 anni rispolverata in questi giorni dai due economisti Tito Boeri e Stefano Perotti); la proposta dell’attuale Presidente Inps, Pasquale Tridico, basata sulla separazione tra quota retributiva e contributiva. La Lega vorrebbe reinserire un aggiustamento ad una possibile nuova Quota 100, mentre i sindacati non disdegnano l’ipotesi di Quota 41: l’OCSE (che anticipa quello che l’Ue potrà dire nelle prossime settimane) esclude soluzioni troppo costose per le pensioni italiani e consiglia un più mite ritorno alla “vecchia” Legge Fornero.



COME FUNZIONA LA “RITA”

Vi sarebbe però anche un’altra ipotesi, già sfruttata nel recente passato, ovvero la rendita integrativa temporanea anticipata, comunemente detta RITA: si tratta di ottenere l’anticipo di una entrata su quella che sarà la futura pensione integrativa di un lavoratore. Con la scadenza dell’uscita anticipata per eccellenza – la riforma Quota 100 – per arginare il problema si può sempre usufruire della RITA, addirittura già a 57 anni (a 10 anni dalla pensione di vecchiaia) o a 62 (a 5 anni dalla pensione di vecchiaia). La misura resa strutturale con la Manovra 2018, rende possibile tale meccanismo: pensione anticipata a 62 anni di età con 20 anni di contributi, basta compilare il modulo della domanda reperibile presso ogni fondo e l’importo che si riceverà anticipatamente sarà proporzionale a quanto versato nel fondo integrativo. Ad averne diritto, spiega un focus pensioni di Sky Tg24, sono tutti coloro che hanno versato almeno 20 anni di contributi ed è iscritto da almeno 5 anni alle forme pensionistiche complementari. Per attestare il possesso dei requisiti e quindi ottenere la RITA non è necessario presentare nessuna attestazione INPS durante la domanda: è sufficiente una autocertificazione con l’impegno scritto di produrre, in caso di richiesta, adeguata documentazione.