In un articolo pubblicato il 3 settembre scorso su queste pagine, commentando un proposta di Alberto Brambilla su Itinerari previdenziali relativamente alle possibili modifiche da apportare alle misure introdotte dal Governo giallo-verde con il decreto n.4/2019 (quota 100 e dintorni), scrivevo quante segue: “Brambilla però propone di stabilizzare a 42 anni e 10 mesi (e un anno in meno per le donne) il pensionamento ordinario di anzianità. A mio avviso, una misura siffatta vanificherebbe l’innalzamento, da 62 a 64 anni (come proposto da Itinerari, ndr), del requisito anagrafico sopra descritto, perché le generazioni di baby boomers pensionande, specie gli uomini, sarebbero in grado di far valere questo requisito contributivo ben prima di aver raggiunto 64 anni (per giunta indicizzati) di età. Questo tipo di pensionamento continuerebbe a consentire, per un lungo arco temporale, l’esodo di coorti poco più che sessantenni, entrate presto nel mercato del lavoro”.
In sostanza, se cambiamenti devono esservi (per ora il Governo lo nega) non bisogna soffermarsi – sostenevo – solo su quota 100, senza affrontare un’altra modifica (in quota Lega) introdotta dal Governo Conte-1 ovvero il blocco fino a tutto il 2026 dell’adeguamento automatico all’attesa di vita nel caso di pensionamento di anzianità (ex legge Fornero), tanto che fino a quella data il requisito contributivo (l’unico richiesto a prescindere dall’età anagrafica) rimane stabilito a 42 anni e 10 mesi (un anno in meno per le donne).
Intanto, è tempo di bilanci. In un articolo sul quotidiano economico della Confindustria, Davide Colombo e Marco Rogari, hanno riassunto in una tabella lo scarso interesse dei possibili utenti di quota 100, come emerge dalla flessione delle domande. Tra i possibili motivi di questa debacle – ne siamo convinti – vi è sicuramente la maggiore convenienza a utilizzare il canale solo contributivo, anche perché in gran parte i pensionandi baby boomers potevano conseguirne il diritto a un’età inferiore ai 62 anni canonici previsti da quota 100. Tanto più che i dati riportati nell’articolo e riferiti a tutte le prestazioni di esodo anticipato dimostrano che sarebbe sbagliato concentrarsi su quota 100 senza riconsiderare, in un disegno complessivo, anche le altre forme (Ape sociale, 41unisti, lavoratori disagiati, Opzione donna) che vengono utilizzate in analoga misura dai soggetti interessati, a seconda delle loro convenienze.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 16 settembre 2019
Anche il Mef, tornato in auge dopo la caduta della maggioranza giallo-verde, ha affrontato l’argomento nel Report annuale sulla spesa pensionistica e sanitaria, mettendo in evidenza gli effetti sulla spesa derivanti dall’utilizzo del canale contributivo bloccato. “Tuttavia, il dispiegarsi dei primi effetti negativi della transizione demografica dovuta al pensionamento delle coorti del baby boom, unitamente alle recenti misure adottate nel DL 4/2019 convertito con L 26/2019 che, per il periodo 2019-2026 prevedono – è scritto – la disapplicazione per il canale di pensionamento anticipato indipendente dall’età anagrafica degli adeguamenti all’aspettativa di vita dei requisiti di anzianità contributiva, sono fattori che agiscono in senso opposto, limitando la riduzione del rapporto tra spesa pensionistica e Pil. Nei quindici anni successivi (2030-2044), il rapporto fra spesa pensionistica e Pil riprende a crescere, dapprima con più intensità e poi in maniera più graduale, fino a raggiungere il picco di 16,1% nel 2044, a causa dell’aumento del numero di pensioni. Tale incremento dipende – prosegue – sia dalle generazioni del baby boom che transitano dalla fase attiva a quella di quiescenza, sia dal progressivo innalzamento della speranza di vita. Quest’ultimo effetto risulta contrastato dai più elevati requisiti minimi di accesso al pensionamento correlati all’evoluzione della sopravvivenza, che si applicano sia al regime misto che a quello contributivo”.