Il Consiglio dei Ministri, riunitosi nella data del 1° maggio per scelta della Presidente Meloni, ha approvato il cosiddetto “Decreto lavoro” all’interno del quale nulla è contenuto riguardo alla riforma delle pensioni, rimandando, di fatto, eventuali modifiche nella Nadef o nella successiva Legge di bilancio.



Sono stati approvati taluni interventi nell’ambito del lavoro in particolare intervenendo sul cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti che guadagnano fino a 35.000 euro annui di imponibile, e tutto ciò è molto positivo, ma nell’ambito previdenziale, se si esclude un’estensione temporale fino al 2025 del contratto di espansione, che ricordiamolo è a carico delle aziende, non è stato deciso nulla.



Del resto, al di là di inutili dichiarazioni di esponenti della maggioranza il tutto era abbastanza ovvio dal momento che nel Def nulla vi era sulle pensioni e che nel mese di marzo la Ministra Calderone aveva annunciato l’istituzione di un Osservatorio per il monitoraggio, la valutazione dell’impatto della spesa previdenziale e l’analisi delle politiche di revisione del sistema pensionistico. Questo Osservatorio, di cui tra l’altro non si conoscono ancora i componenti, ha tempi molto compassati e di fatto abbisogna di alcuni mesi per giungere a delle conclusioni. Analogamente alla Commissione istituita dalla Ministra Catalfo e poi ripresa dal Ministro Orlando per studiare la possibile separazione tra assistenza e previdenza che dopo molti mesi di lavoro dichiarò che una separazione netta tra i due istituti non appare praticabile, questi Osservatori/Commissioni servono in pratica a prendere tempo e a procrastinare di alcuni mesi la problematica.



Quello che, invece, si può considerare addirittura scandaloso è l’atteggiamento del Governo nei confronti di Opzione donna, l’istituto che ha consentito dal 2004 fino al 31 dicembre 2022 alle donne che avessero 35 anni di contributi e 58 anni di età di accedere al pensionamento accettando però che tutto il calcolo dell’assegno previdenziale fosse calcolato con il metodo contributivo molto più sfavorevole rispetto all’attuale sistema di calcolo misto composto da una parte di calcolo retributivo, più conveniente, sommata a una parte di calcolo contributivo che è invece più penalizzante.

Lo stravolgimento della norma attuato nell’ultima Legge di bilancio, che ha ricondotto l’istituto a una sorta di Ape sociale donna con la promessa continua di voler ripristinare la norma nella sua logica essenza dapprima nel Decreto milleproroghe e poi nel Decreto lavoro, entrambe disattese, dimostra, inequivocabilmente, la volontà dell’Esecutivo di rimanere fermo nelle proprie convinzioni e di non voler applicare alcuna modifica. Se la spiegazione può avere, in parte, un riscontro di natura economica, più passano gli anni e minore risulta per lo Stato la convenienza di tale istituto, ma pur sempre di convenienza si tratta perché dopo i primi tre/quattro anni l’Erario ne ha un grosso beneficio per tutta la durata della vita delle donne, si sarebbe potuto al limite proporre alle Parti sociali l’innalzamento di un anno dei requisiti anagrafici mantenendo tutte le altre prerogative previste dalla norma.

Su una proposta del genere ritengo che si potesse aprire un confronto e trovare una sintesi, in questo modo, invece, sembra ci sia proprio un accanimento nei confronti delle donne che non è di natura economica (stiamo parlando di un centinaio di milioni l’anno su un bilancio dello Stato di circa 1.000 miliardi di euro annui), ma di confinamento di esse verso categorie svantaggiate (caregiver, invalide o licenziate). Il risultato pratico è che invece delle ventimila donne che ne avrebbero potuto usufruire il numero scenderà drasticamente a meno di mille.

Riguardo alla possibilità di riformare in maniera sostanziale l’odiata Legge Fornero sembra che questo Governo a trazione Giorgia Meloni voglia prendere tempo e, nonostante le continue affermazioni in tal senso dei componenti leghisti, voglia far valere il diverso peso elettorale, aspettare la fine dell’anno e fare piccole modifiche, rimandando la riforma previdenziale in anni successivi.

L’orientamento del Governo, in sostanza, pare essere quello di privilegiare altre scelte di natura economica come intervenire ulteriormente sul cuneo fiscale anche nel 2024 piuttosto che modificare in maniera significativa una legge molto gradita all”Europa e accettata, tutto sommato, anche in larghe fasce della maggioranza.

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