RIFORMA PENSIONI ED ELEZIONI 2022. Tutto quello che era ampiamente previsto si sta verificando. Milioni di italiani che sono finalmente in vacanza dopo 30 mesi di pandemia (e 173.000 decessi di cui l’85% pensionati), il Bel Paese preso d’assalto, finalmente, dagli stranieri, un turismo tornato prepotentemente ai livelli ante 2019 con in mezzo una campagna elettorale che i due terzi degli italiani non seguono e di cui non capiscono la necessità.
Una distanza che tra la politica e i cittadini si amplia sempre di più, con partiti che si accusano reciprocamente di responsabilità della crisi, lotte fratricide tra politici per conquistarsi un posto al sole in un Parlamento dimezzato, con programmi elettorali assenti e soprattutto molto generici. Nel frattempo assistiamo, a causa della guerra russo/ucraina, a costi dell’energia che sono triplicati dall’inizio dell’anno e che hanno provocato, anche per effetti speculativi derivati, un rialzo improvviso dell’inflazione all’8% come non si verificava da quasi trent’anni.
In ambito previdenziale poche idee e molto confuse. Tutti sappiamo che a fine anno terminano i pochi interventi effettuati dall’uscente Governo Draghi sulle pensioni, in particolare Opzione Donna, Ape Sociale e Quota 102 per cui il 31/12/2022 è la “deadline” su cui intervenire, ma nubi minacciose incombono sulle scelte del futuro Governo. E non sto parlando solamente di risorse economiche, ma anche di scelte politiche. Purtroppo la crisi della classe dirigente politica italiana è sotto gli occhi di tutti e questo si evince particolarmente in ambito previdenziale.
Tutti i partiti, nessuno escluso, sono arrivati a questa campagna elettorale su questo argomento completamente spiazzati e senza alcuna proposta concreta per superare la rigidità della Riforma pensioni Fornero che tutti a parole vogliono eliminare, ma che da oltre un decennio incombe sulla vita dei cittadini italiani. Se, invece, avessero in questi anni pensato una legge di riforma, ora l’avrebbero tranquillamente messa in campo già pronta, realizzabile e soprattutto sostenibile.
La Lega di Salvini che da anni rivendica come cavallo di battaglia l’eliminazione della Riforma pensioni Fornero propone 41 anni di contributi per tutti per uscire dal mondo del lavoro, ma non specifica la cosa fondamentale, vale a dire se applicare il sistema misto o totalmente contributivo, parla di una flessibilità in uscita a partire dai 63 anni e almeno 20 anni di contributi, ma riferendosi solamente alle donne e senza specificare esattamente i termini. Berlusconi propone l’innalzamento delle pensioni minime a 1.000 euro, costo annuo per l’erario circa 32 miliardi, con evidente levata di scudi di chi ha versato per oltre 40 anni contributi previdenziali e percepisce 1.100 euro mensili. Il Pd, ancora più fumoso, auspica come riforma delle pensioni solo il rinnovo di Opzione Donna e Ape Sociale e una flessibilità in uscita nel solco del sistema contributivo. Il terzo polo appena varato Calenda/Renzi il nulla. Il M5S aggrappato solamente alla proposta Tridico di flessibilità in uscita, ma che ormai non essendo più al Governo stenterà a essere ascoltato e che probabilmente perderà anche, tra qualche mese, la Presidenza dell’Inps.
Proprio non ci siamo. Nessuna riforma delle pensioni strutturale, ma solo interventi singoli da inserire probabilmente in fretta e furia nella Legge di bilancio e da approvare magari con la fiducia e senza alcun confronto parlamentare entro il 31 dicembre. Dai sindacati nessun riscontro analogamente all’anno appena passato, trincerati dietro all’orgoglio di essere protagonisti della vita politica italiana, ma avendo dimenticato la loro funzione principale, difendere e tutelare i lavoratori.
Eppure sul tappeto c’è una proposta di riforma pensioni, quella del gruppo UTP, che se i politici avessero in tempi non sospetti, non solo a parole, valutato, discusso e approfondito avrebbe risolto molti loro problemi perché abbraccia tutti i possibili attori della vasta galassia previdenziale e oltretutto è poco costosa. Infatti, prevedendo una piccola penalizzazione annua per chi volesse uscire dal mondo del lavoro a partire dai 62 anni e concedendo, altresì, a chi lo volesse di rimanere oltre i 66 anni, azzererebbe, in pratica, i costi per l’Erario.
Vedremo se e come le forze politiche che usciranno vincitrici dalle elezioni del 25 settembre vorranno affrontare la questione della riforma delle pensioni. I denari per realizzare una riforma strutturale, se si volesse, si possono trovare recuperando i costi dal minor utilizzo di Quota 100, nonché dai risparmi dell’Inps dai decessi di pensionati da Covid e non deve nemmeno spaventare la somma di 23 miliardi da trovare a gennaio per perequare, giustamente, le pensioni degli italiani a causa dell’8% di inflazione annua, perché proprio questa ha fatto lievitare dall’inizio dell’anno gli introiti dell’ Iva di oltre 30 miliardi.
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