RIFORMA PENSIONI, DA QUOTA 100 ALL’APE SOCIALE (SUPER)
Alcune ere politiche fa, sebbene corresse solamente l’anno domini 2018, il Paese era guidato da un Governo “giallo-verde” con Giuseppe Conte, l’avvocato del popolo, come Premier. Una delle misure simbolo di quella fase fu certamente, assieme al reddito di cittadinanza, la cosiddetta “Quota 100” di riforma del sistema previdenziale.
Questo nuovo strumento permette di anticipare l’uscita dal lavoro al momento in cui la somma tra l’età del lavoratore e il numero di anni di contributi accreditati è 100 (con un minimo di 62 anni di età e 38 di contributi). L’idea di fondo era, insomma, quella di superare la “Riforma Fornero” approvata, nel 2011, dal Governo Monti.
Il Governo in carica sembra deciso a superare, dopo solo tre anni, la precedente riforma previdenziale entrata in vigore nel “lontano” 2019.
Probabilmente il dopo Quota 100 sarà rappresentato dall’Ape sociale, che con l’allargamento previsto ad altre categorie di lavoratori, diventerà una “Super Ape”. Si sta, insomma, consolidando l’idea di una (ennesima) riforma delle pensioni che si propone, in ogni caso, di attutire lo scalone dei 5 anni che dal 2022 si abbatterà sui lavoratori che dovranno aspettare fino a 67 anni prima di andare in pensione.
In questo quadro una commissione istituzionale sui lavori gravosi, presieduta dall’ex ministro Cesare Damiano, ha approvato un documento teso ad allargare il numero dei cosiddetti lavori gravosi, per la psiche e per il fisico, per i quali si potrà andare prima in pensione.
RIFORMA PENSIONI, LE “NUOVE” MANSIONI GRAVOSE CHE ACCONTENTANO I SINDACATI
Tra le “nuove” mansioni gravose sono state inseriti anche saldatori, tassisti, falegnami, conduttori di autobus e tranvieri, benzinai, macellai, panettieri, insegnanti di scuole elementari, commessi e cassieri, magazzinieri, portantini, verniciatori industriali.
In questa prospettiva anche i sindacati, che chiedono in ogni caso maggiore coinvolgimento, come la Cgil condividono il superamento dell’attuale sistema prevedendo una flessibilità in uscita a partire dai 62 anni, o con 41 anni di contributi e riconoscendo, appunto, la diversa gravosità dei lavori, il lavoro di cura e delle donne. Si chiede, inoltre, di introdurre una pensione contributiva di garanzia per i lavori poveri o discontinui e per i più giovani che, in futuro, rischiano di essere pensionati estremamente poveri.
Le risorse, peraltro, non sembrano mancare perché, almeno secondo un recente studio della Fondazione Di Vittorio, Quota 100 è stata usata da poco più di un terzo della platea prevista e, quindi, questi risparmi potrebbero rimanere nel sistema previdenziale.
Il nuovo “Patto” economico e sociale per immaginare, e costruire, l’Italia del post-Covid passa, necessariamente, da un nuovo “accordo” intergenerazionale che sappia tenere insieme lavoro di qualità per i giovani e pensioni dignitose per i più anziani. A Draghi, e al suo Governo, spetterà, già in queste settimane, l’onere, e l’onore, di trovare l’equilibrio possibile e sostenibile.
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