Reforming.it ha commentato i dati delle domande sulla riforma pensioni per l’acceso a Quota 100 pervenute al 21 novembre 2019. E, in attesa di un compiuto accertamento, secondo Reforming è possibile tracciare un consuntivo del primo anno, ancorchè si tratti di dati grezzi, precedenti lo scrutinio che l’Inps sta già portando avanti da tempo. Pertanto, anche non si può sapere quali di queste domande sono affettivamente accoglibili e, se accoglibili, con quale decorrenza dell’assegno, da dati – dettagliati per Provincia – emerge un risultato inatteso, almeno da parte di chi scrive: (1) la propensione all’utilizzo di “Quota 100” appare relativamente più elevata nelle Province del Mezzogiorno e meno in quelle del Centro e poi del Nord; (2) in combinazione con il valore aggiunto per abitante le propensioni mostrano valori più contenuti e raggruppati nelle Province del Nord e poi crescenti in livello e anche in dispersione passando a quelle del Centro e poi del Mezzogiorno.
Rapportando le domande agli occupati di 62-66 anni in ciascuna Provincia (la fascia di età potenzialmente interessata) diviene possibile ottenere un ordine di grandezza della propensione media a utilizzare questo canale temporaneo di pensionamento. Inoltre, la propensione media così calcolata può essere messa in relazione al valore aggiunto provinciale per occupato o per abitante, per poter considerare anche la dimensione della produttività dei territori.
Tutto ciò premesso e facendo nostro la cautela suggerita, “Quota 100” sembra riscuotere maggior interesse nelle Province dove il mercato del lavoro è più problematico, con tassi di occupazione e produttività più bassi. Di per sé questo non aiuta a sciogliere l’interrogativo – prosegue la nota – se i posti di lavoro liberati dai nuovi possibili pensionati potranno essere ricoperti da nuovi lavoratori, favorendo il turnover e alleviando la disoccupazione, magari nelle fasce di età giovani (una delle intenzioni dichiarate dell’intervento). È la stessa debolezza economica di quelle Province che potrebbe sia far propendere per una risposta positiva, contando sul fatto che si aprono posizioni lavorative che altrimenti in quei territori sarebbero sorte con difficoltà o neppure sorte, sia per una negativa, temendo che proprio quella debolezza (che nel Mezzogiorno ha radici strutturali) possa non rendere conveniente e/o praticabile il turnover, soprattutto in questa fase di incertezza nazionale e internazionale.
Se si concretizzasse questo secondo scenario, “Quota 100” potrebbe tradursi, da subito, in una riduzione secca degli occupati, con probabili ripercussioni negative sull’attività economica ma con una spesa pensionistica più elevata da finanziare. Sarà utile verificare prima possibile, a livello dei territori e delle singole imprese, se l’uscita di lavoratori con “Quota 100” effettivamente è seguita da nuovi ingressi.
In questa ricerca si è cimentata la Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro ovviamente sulla base di stime. I dati aggiornati sono migliori, anche grazie all’utilizzazione di un contratto di apprendistato, rispetto alla prima stima effettuata nel mese di marzo, che vedeva un rapporto di 1 giovane al lavoro ogni 3 lavoratori uscenti con Quota 100, con un tasso di sostituzione di circa il 37% (in totale 116.180 under30 nei posti lasciati scoperti da 314mila lavoratori/pensionati). In base alle stime riferite al terzo trimestre dell’anno in corso, il ricambio generazionale tramite Quota 100 (lo strumento che, come è noto, consente sperimentalmente per un triennio l’uscita anticipata dal lavoro per chi ha 62 anni di età e 38 di contributi) si attesta intorno al 42%, dopo 6 mesi di applicazione.