CIDA ANNUNCIA RICORSI SUI TAGLI

La Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità si è detta sempre contraria al taglio degli assegni più alti contenuto nella riforma pensioni e ora che è ufficiale che i primi effetti si faranno sentire sulla pensione di giugno fanno sapere che ci sarà “una valanga di ricorsi”. Il Presidente della Cida, Mario Mantovani, ad Adnkronos/Labitalia spiega che si tratta di un “taglio pesante per gli interessati, inutile per il bilancio pubblico”, visto che “il ricavo per le finanze pubbliche si riduce a poco più di 120 milioni l’anno che, con molta probabilità, produrranno costi ben maggiori per lo Stato a seguito dei numerosi ricorsi”. I quali “seguiranno la strada nei Tribunali ordinari, dopodichè se qualche magistrato ravviserà nella norma un qualche profilo di incostituzionalità, sarà chiesto un parere alla Corte Costituzionale”. Mantovani non nasconde di sapere “che i tempi non saranno brevi, ma non possiamo transigere su questioni di principio così rilevanti”. Oltretutto, per Cida il Governo opera “per avere un effetto mediatico: tagliare le pensioni più alte (non d”oro’) adesso è come dire ‘stiamo lavorando contro le ingiustizie’”.



QUOTA 100 NON SEMPRE RIDUCE LA PENSIONE

Si parla molto, a proposito di riforma pensioni con Quota 100, degli effetti che questa comporta sui futuri assegni che si vanno a incassare. La domanda posta da un lettore all’esperto pensioni del sito di Repubblica ricorda però un aspetto piuttosto sottovalutato. Il lettore chiede infatti, avendo iniziato a lavorare nel 1997 e avendo ora 63 anni, “volendo andare in pensione con il massimo dei contributi, fin quando dovrò lavorare? E con i nuovi coefficienti di calcolo, conviene usufruire di Quota 100 e come fare per non subire penalizzazioni?”. La risposta, a cura della Fondazione studi Consulenti del lavoro, ricorda che “in realtà godendo del metodo di calcolo retributivo puro, va considerato che, salvo vistosi aumenti retributivi, per effetto della L. 190/2014 art. 1 c. 707, questo aumenterà la sola quota retributiva in modo poco significativo (per effetto delle peculiarità di questo sistema), una volta superati i 40 anni di contributi. Si ritiene pertanto che qualora fossero maturati i requisiti per la pensione in quota 100, l’adesione rappresenterà un indubbio vantaggio”. Non sempre quindi Quota 100 comporta un futuro assegno più basso.



RIFORMA PENSIONI E LA LOTTA M5S SUI POLITICI

Oltre che su Quota 100, il Governo, in particolare il M5s, ha insistito molto per una riforma pensioni che riguardasse il mondo politico. E ha anche lottato contro il ddl Zanda per equiparare gli stipendi dei parlamentari italiani a quelli europei. Sul tema l’Agi ha curato un fact-checking, dal quale emerge che “un parlamentare italiano può arrivare oggi a ricevere fino a 17.878 euro lordi al mese. Se il trattamento economico fosse ricalcato su quello degli europarlamentari – ipotizzando che in un mese risieda a Roma per 16 giorni e non manchi mai alle votazioni e ai lavori in Parlamento – potrebbe arrivare a ricevere 18.390 euro lordi al mese: circa 500 euro in più”. Tuttavia, “la normativa europea è in genere più severa nel punire le assenze. Se guardiamo all’indennità di spese generali, i parlamentari che partecipano a meno della metà delle sedute plenarie senza valida giustificazione perdono oltre 2.250 euro al mese, più che azzerando così il ‘vantaggio’ a favore della disciplina europea”. Quindi, “probabilmente con la proposta Zanda non sarebbe cambiato un granché” rispetto alla situazione attuale.



TRIDICO (INPS) SPIEGA IL TAGLIO DEGLI ASSEGNI PIÙ ALTI

I sindacati, oltre che criticare Quota 100, della riforma pensioni non hanno gradito gli interventi sugli assegni in essere, in particolare il blocco parziale delle indicizzazioni. Il 1° giugno saranno quindi in piazza a Roma per manifestare contro questo provvedimento, proprio quando prenderà il via anche il taglio sugli assegni più alti, che durerà cinque anni e sarà crescente in base all’importo dell’assegno stesso. Adnkronos riporta le parole di Pasquale Tridico, rilasciate nel corso della trasmissione diMartedì. Il Presidente dell’Inps ha spiegato che in tutto saranno circa 25.000 le posizioni interessate e che il risparmio per lo Stato sarà di circa 140 milioni di euro. Questo anche perché non solo il taglio sarà per gli assegni sopra i 100.000 euro, ma riguarderà “solo la parte retributiva”. Tridico ha anche evidenziato il cambiamento di paradigma che si è realizzato “con le pensioni di cittadinanza, un sussidio dato anche in un periodo di non crescita e tagliando laddove c’era da tagliare, nella parte alta dei redditi che funzionasse da redistribuzione”.

IN ARRIVO IL TAGLIO DELLE PENSIONI D’ORO

Ancora qualche settimana poi scatterà il taglio delle cosiddette pensioni d’oro. Da giugno entrerà infatti ufficialmente in vigore la norma voluta dal Movimento 5 Stelle, per dare una sforbiciata agli assegni di previdenza più alti. Nel dettaglio, si tratterà di una decurtazione del 15% per quegli assegni compresi fra i 100mila e i 130mila euro lordi all’anno, mentre subiranno un taglio addirittura del 40% le pensioni oltre i 500mila. Come riporta l’edizione online de Il Giornale, 30% di taglio per le pensioni fra i 200 e i 350mila euro, 35% per quelle fra i 350 e i 500, e appunto 40%, per quelle che vanno dai 500mila euro lordi all’anno in su. Le associazioni di categoria e gli studi legali si stanno già organizzando, e promettono una battaglia senza esclusione di colpi in difesa dei diritti dei pensionati. «Ci apprestiamo a presentare alla Corte dei Conti o al Tribunale Ordinario del Lavoro – le parole dell’avvocato Luca Cavenari in merito all’opposizione da presentare – a seconda che si tratti di pensionati ex dipendenti pubblici, ovvero di privati». Cavenari ha voluto sottolineare che la Corte ha già affermato l’illegittimità della decurtazione delle pensioni: «Si tratta di norme che non solo violano il principio costituzionale di certezza del diritto – aggiunge il legale – ma violano manifestamente proprio il divieto di reiterazione sancito dalla Corte Costituzionale, nonché la tutela dell’integrità della pensione, costituzionalmente tutelata». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)

RIFORMA PENSIONI, QUOTA 100 E DONNE, DOPPIA BOCCIATURA CGIL

La riforma pensioni con Quota 100 continua a essere al centro di studi e analisi. Anche la Cgil ne ha compiuta una, come ha spiegato Ezio Cigna in un’intervista a RadioArticolo1, di cui dà resoconto il sito di Rassegna Sindacale. Il risultato dello studio è, come evidenziato dallo stesso Cigna, che “le persone che usufruiranno del provvedimento saranno al massimo 325 mila a fine anno, contro le 973 mila ipotizzate dall’esecutivo”. Il responsabile delle politiche previdenziali della Cgil ha anche detto che Quota 100, per come è stata pensata dal Governo, “non risponde a fette importanti del mondo del lavoro, perché restringe a priori la platea degli aventi diritto. Ad esempio, le donne – già fortemente penalizzate dalla legge Fornero, che ha spostato la pensione di vecchiaia da 60 a 67 anni – difficilmente riescono a raggiungere i 38 anni di contributi, svolgendo spesso due lavori, quello in produzione e quello di cure, tanto è vero che solo poche migliaia (una domanda su quattro è stata presentata da una donna), hanno utilizzato quota 100”.

IL GIUDIZIO SU OPZIONE DONNA

Cigna ha dato anche un giudizio relativo a Opzione donna, che è stata prorogata dal Governo: si tratta di una misura penalizzante, visto che “prevede un calcolo interamente contributivo, 35 anni di contributi e 58 d’età se dipendenti, o 59 se autonome”. Dal suo punto di vista, quindi, se si pensava a Quota 100 “per superare la Fornero, si è davvero fuori strada”, anche perché “ogni anno d’anticipo costa il 5% sulla pensione lorda del lavoratore, impedendogli di raggiungere un assegno dignitoso”.