QUOTA 100 AD AGOSTO PER 11.000 STATALI

Si è parlato a lungo degli effetti della riforma pensioni con Quota 100 sulla Pubblica amministrazione. Oggi, secondo fonti citate da Rainews, che si rifanno a dati in possesso dell’Inps, sarebbero circa 11.000 i dipendenti pubblici che grazie a Quota 100 sono andati in pensione a partire dal 1° agosto, prima finestra utile per il pubblico impiego, considerando che è stato previsto un preavviso di almeno 6 mesi prima dell’effettivo pensionamento. Preavviso che era stato previsto per consentire di predisporre, con un adeguato anticipo i concorsi necessari a evitare che vi siano carenze di organico nei servizi pubblici. Secondo le fonti citati, gli assegni già liquidati sarebbero circa 9.000. Per cui ancora 2.000, ormai ex, dipendenti pubblici, sono in attesa del primo assegno da parte dell’Inps. Che in caso di ritardi comprenderà anche gli arretrati, considerando come data di pensionamento effettiva quella del 1° agosto. Il 1° settembre scatteranno i pensionamenti nella scuola: anche qui ci saranno coloro che hanno utilizzato Quota 100 per poter raggiugnere il traguardo della quiescenza.



LA STRETTA INPS SUL CUMULO

Come noto, la riforma pensioni ha previsto per Quota 100 il divieto di cumulo con redditi da lavoro salvo che per quelli da lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro l’anno. Una recente circolare dell’Inps ha chiarito che questa soglia va considerata nell’intero anno di imposta in cui viene erogata la pensione e non solo successivamente. Il Sole 24 Ore segnala che tale disposizione va “in direzione opposta rispetto a quella fornita due anni fa a proposito della cumulabilità dei redditi di lavoro dipendente e autonomo con l’Ape sociale. In quel caso, con la circolare 100/2017, l’Inps ha sempre considerato ai fini degli 8.000 e 4.800 euro di limite di cumulabilità quanto percepito in ciascun anno d’imposta nei mesi successivi alla decorrenza del trattamento, in completa analogia con quanto previsto per la Naspi. Il tenore letterale della norma delle due misure appare inoltre molto simile: per l’Ape sociale l’articolo 1, comma 183, della legge 232/2016 parla di 8.000 e 4.800 euro annui, esattamente come l’articolo 14, comma 3, del Dl 4/2019 parla di 5.000 euro lordi annui”.



LA RICETTA VENETA PER LA SANITÀ

Si è parlato più volte degli effetti della riforma pensioni con Quota 100 sulla sanità. Anche per questo “il Veneto strozzato dalla carenza dei medici tenta una mossa mai vista prima: far entrare negli ospedali camici bianchi non specializzati, cioè soltanto laureati”, scrive Repubblica, sottolineando anche che “il numero dei posti messi a bando nei pronto soccorso e nelle medicine interne è importante: 500. Dopo professionisti a gettone, dopo l’appello alle università straniere, dopo i pensionati invitati a rientrare in corsia per dare una mano agli ex colleghi, in Italia si tenta una nuova strada per rimpolpare organici della sanità pubblica che continuano ad assottigliarsi”. Il quotidiano romano ricorda che “un paio di mesi fa la Toscana ha deliberato di mettere nei pronto soccorso circa 200 laureati. L’idea, anche in questo caso, è di formarli ma c’è una differenza: i contratti possono durare al massimo due anni. Passati i quali quei professionisti non possono più restare negli ospedali ma solo essere impiegati sulle ambulanze”.



RIFORMA PENSIONI, LA SECESSIONE IN ATTO

I diversi interventi di riforma pensioni hanno determinato una situazione di “secessione” tra i giovani e il resto della popolazione. È quanto evidenzia il Corriere della Sera, spiegando che c’è una divisione “tra chi ha lasciato il lavoro con il sistema contributivo o misto e chi andrà in pensione oltre i 70 anni con pochi spiccioli assicurati. Tra chi è rimasto in Italia e chi ora lavora all’estero”. Il quotidiano milanese cita una ricerca dell’Istituto Cattaneo che, elaborando dati Eurostat, “ha messo in relazione la spesa sociale in pensioni di anzianità e reversibilità con quella sociale e la quota di popolazione con più di 65 anni. Più sono alti questi rapporti e meno guardi al futuro. In questo caso siamo penultimi in classifica, con una quota del 59% (spesa pensionistica) e del 22% (over 65 su abitanti totali), davanti solo alla Grecia ma ben dietro tutti gli altri Paesi, Germania, Francia e Gran Bretagna comprese”.

IL LIMITE DEL SOVRANISMO

Per Roberto Sommella, autore dell’articolo, “non c’è nulla di male ad essere sovranisti, a patto che si metta davvero davanti a tutto la Patria, l’interesse nazionale e la difesa del presente dei nostri ragazzi. Ma se si permette a oltre 140.000 laureati di lasciare il Paese, il sovranismo diventa masochismo e la decantata sovranità diventa sovranità limitata. E nulla potrà quando tra poco resteranno in Italia solo pensionati, badanti e lavoratori attivi tra i quaranta e i sessant’anni, con un peso enorme sulle spalle: mantenere in piedi gli ottimi livelli di assistenza, senza avere però un futuro migliore del passato dei propri padri”.