PERSI 20.000 EURO IN 10 ANNI

Con un post sulla propria pagina Facebook il Sindacato pensionati italiani ricorda l’appuntamento con la manifestazione unitaria contro la riforma pensioni di sabato a Roma. “Ci hanno scambiati per un bancomat. Guardate quanto abbiamo perso in meno di dieci anni”, scrive lo Spi-Cgil a commento di una tabella in cui si evidenzia quanto abbiano perso le pensioni italiane dal 2012 al 2019: “Per un assegno lordo molto basso, di 1.500 euro al mese, la perdita economica è pari a circa 7.200 euro. Cifra che sale, ovviamente, fino ad arrivare a ben 20.000 euro in meno incassati negli ultimi dieci anni da chi ha un assegno lordo di 3.500 euro mensili”, evidenzia il sito di Rassegna sindacale. Dove si ricorda anche che i sindacati rimproverano al Governo che “la tanto sbandierata pensione di cittadinanza finirà per riguardare un numero molto limitato di persone e non basterà ad affrontare il tema della povertà. Nulla è stato previsto inoltre sul fronte delle tasse, che i pensionati pagano in misura maggiore rispetto ai lavoratori dipendenti”.



I DATI INPS SULLE PENSIONI

L’Inps ha reso noti alcuni dati sulle pensioni erogate agli italiani. Risulta, come spiega Mf-Dow Jones, che tra il 2015 e il 2019, anni in cui ci sono stati interventi di riforma pensioni, “a fronte di un aumento del numero delle pensioni pari al 4,3% (da 2.794.446 a 2.913.778), gli importi medi sono aumentati del 6,3% (da 23.245 euro a 24.720 euro)”. Guardando alle varie categorie, “il 16,4% delle pensioni pubbliche ha un importo mensile inferiore ai 1.000 euro; il 48,4% tra 1.000 e 1.999,99 euro e il 26,0% di importo tra 2.000 e 2.999,99; infine, il 9,2% ha un importo dai 3.000 euro mensili lordi in su”. Inoltre, “al 1° gennaio 2019, il 57,1% delle pensioni sono di anzianità o anticipate, con importi complessivi annui pari a 45.647,4 mln di euro; il 13,7% sono pensioni di vecchiaia per un importo complessivo di 11.792,8 mln; le pensioni di inabilità sono il 7,6% e il restante 21,6% è costituito, complessivamente, dalle pensioni erogate ai superstiti di attivo e di pensionato”. Complessivamente poi “il 58,6% del totale dei trattamenti pensionistici è erogato alle femmine, contro il 41,4% erogato ai maschi”.



IL PROBLEMA DELLA RIFORMA PENSIONI

La Corte dei Conti, nel suo Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica parla anche di riforma pensioni, spiegando che “nel confronto internazionale, l’Italia non sembra penalizzata in termini di età ‘effettiva’ di uscita dal mondo del lavoro: 62,1 anni per gli uomini e 61,3 per le donne nel 2016 (ultimo dato disponibile), valori che si confrontavano con i 65,1 e 63,6 anni nella media Ocse”. Inoltre, dopo la Legge Fornero, “il complessivo sistema di eccezioni ha consentito di andare in pensione ad un numero molto significativo di persone, che non avrebbero potuto lasciare il lavoro sulla base di un’applicazione rigida delle nuove norme”. Il problema è che “con ancora elevate componenti retributive, l’anticipo dell’età di pensionamento rispetto a quella ritenuta congrua con l’equilibrio attuariale e intergenerazionale comporta sia esigenze di cassa (tipiche di un sistema a ripartizione), sia debito implicito, in quanto la componente retributiva del trattamento non viene corretta per tener conto della maggiore durata della prestazione”.



QUOTA 100, IL GIUDIZIO DELLA CORTE DEI CONTI

La Corte dei Conti, nel suo Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica, spiega che “le misure varate con la manovra per il 2019 ed i provvedimenti correlati (blocchi dell’indicizzazione dell’età alla speranza di vita, reintroduzione del sistema delle finestre, ecc.) dovrebbero essere valutate tenendo conto dell’importanza che sia definito, in un comparto della spesa corrente così rilevante sul piano quantitativo e qualitativo, un quadro di certezza e stabilità normativa”. “Si muovono invece nella logica del non ordinario non soltanto Quota 100, ma anche misure come la modifica del meccanismo di perequazione ai prezzi, il contributo, per l’appunto straordinario, sui trattamenti di importo elevato, i tempi per la corresponsione del Tfr/Tfs nel pubblico impiego, il divieto di cumulo con altri redditi da lavoro, e così via”. La Corte riconosce però che “l’introduzione di Quota 100 ha comunque posto sotto i riflettori una reale esigenza: quella di un maggior grado di flessibilità del requisito anagrafico di pensionamento. A riguardo sarebbe necessaria una soluzione strutturale e permanente, più neutra dal punto di vista dell’equità tra coorti di pensionati e tale da preservare gli equilibri e la sostenibilità di lungo termine del sistema”.

RIFORMA PENSIONI, MOLISE VERSO TAGLIO VITALIZI

Tra le Regioni che si stanno attrezzando per provvedere a una riforma delle pensioni erogate agli ex consiglieri, come chiesto dal Governo centrale, c’è anche il Molise. A quanto pare, tramite la proposta di legge in discussione, si potrebbe risparmiare un milione dei 4,2 che vengono attualmente spesi per i vitalizi regionali. Secondo quanto riporta molisenetwork.it, Filomena Calenda, presidente della IV Commissione regionale, ritiene che sarebbe importante poter decidere come utilizzare questi risparmi di spesa. “Non sono molti ma potrebbero essere utilizzati in maniera sapiente, anche per lanciare un messaggio forte alla popolazione. Potrebbero essere investiti nell’ambito sociale, dove i fondi non bastano mai. Ad esempio, più volte mi sono fatta portatrice delle istanze dei dializzati, in particolare riguardo al servizio di trasporto che è stato sospeso lo scorso dicembre. Per di più recentemente, sempre su mia proposta, il Consiglio Regionale ha approvato un ordine del giorno con cui ha impegnato la giunta a valutare la possibilità di erogare nuovamente questo importante servizio ai dializzati”, sono le parole di Calenda.

RIFORMA PENSIONI, QUOTA 100 E LEGGE FORNERO

Esaminando i dati sulle domande presentate per Quota 100, Daniela Barbaresi, Segretaria generale della Cgil Marche non può non rilevare che “si tratta di numeri inferiori alle previsioni fatte dal Governo”. Secondo quanto riporta il sito di Rassegna sindacale, ha anche evidenziato che “si parla di Quota 100, ma chi non ha almeno 38 anni di contributi deve comunque aspettare la pensione di vecchiaia, e questo esclude soprattutto i lavoratori più deboli, che hanno meno contributi o carriere lavorative più discontinue, a partire dalle donne, come anche i dati confermano”. “Inoltre, Quota 100 rappresenta un ulteriore provvedimento a termine che non modifica in alcun modo la Legge Fornero e non affronta in maniera strutturale i nodi del sistema previdenziale”.

I CAMBIAMENTI DI RIFORMA PENSIONI NECESSARI

Dal suo punto di vista sono quindi “urgenti interventi strutturali, come quelli proposti nella piattaforma che il sindacato ha presentato unitariamente al governo per garantire la flessibilità in uscita per tutti dopo 62 anni di età, o con 41 anni di contribuzione e interventi che tengano conto della specifica condizione delle donne, dei lavoratori discontinui, di coloro che hanno svolto lavori precoci, gravosi, usuranti. Necessaria poi l’introduzione di una pensione contributiva di garanzia per i giovani”. Elio Cerri, Segretario generale dello Spi-Cgil Marche, ha quindi ricordato la manifestazione unitaria a Roma del 1° giugno, in cui i pensionati saranno in piazza per “testimoniare la loro insofferenza e insoddisfazione nei confronti di un governo che finora non ha voluto ascoltare le loro richieste su pensioni, sanità, assistenza, fisco e le cui politiche hanno penalizzato milioni di persone anziane”.