I PUNTI SALDI PER LA CISL

Annamaria Furlan, intervenendo al Consiglio generale della Fnp-Cisl a Roma, ha parlato di manovra e riforma pensioni, evidenziando che “noi vogliamo che sia riconfermato, senza ulteriori rinvii, l’impegno che era stato preso con il sindacato anche per una lotta seria all’evasione fiscale. Questa per noi è una delle priorità. Così come aspettiamo l’apertura di un confronto serio per una riforma fiscale che parta dall’esigenza di ridurre le tasse ai lavoratori ed ai pensionati. Questo era il primo elemento di discontinuità rispetto al passato che avevamo chiesto al Governo Conte due. Se hanno cambiato idea lo dicano con chiarezza. Sono temi importanti, molto sentiti dalla gente e dalle persone che noi rappresentiamo. Stiamo sollecitando l’apertura di un tavolo di confronto sulla previdenza, senza toccare quota 100. Ma bisogna discutere anche di sviluppo, mezzogiorno, investimenti pubblici, sblocco delle infrastrutture, politica industriale. Occorre maggiore giustizia sociale nel nostro paese. Bisogna passare dai condoni ad una guerra vera alla evasione fiscale, non con armi spuntate ma con armi solide”.



LA DISCRIMINANTE DA DIFFERENZIARE

Nei giorni scorsi a Bari Spi-Cigl, Fnp-Cisl e Uilp-Uil si sono ritrovate per presentare la giornata di manifestazione che si terrà a Roma il 16 novembre. Come spiega La Gazzetta del Mezzogiorno, si è fatto anche un punto in tema di riforma pensioni. In particolare, Rocco Matarozzo, Segretario generale della Uilp-Uil Puglia, ha evidenziato come non sia possibile “che si ragioni solo sulla logica dell’usura dei lavoro, senza entrare nel merito: è abbastanza chiaro che non tutti sono nelle stessa situazione e dunque la discriminante non può essere uguale per tutti”. Il sindacalista riprende quindi un concetto abbastanza diffuso secondo cui occorre differenziare l’età pensionabile a seconda del lavoro svolto. Dunque spiega che la discriminante “va in realtà differenziata a seconda del rapporto usurante del lavoro svolto e dell’età”. Rispetto a Quota 100, Matarozzo evidenzia che “ricalca la stessa metodologia della Legge Fornero, perché si limita ad abbassare l’età pensionabile esclusivamente a quelli che hanno 62 anni di età e 38 di contributi”.



LA SOLUZIONE PER IL DOPO QUOTA 100

Cesare Damiano ribadisce che è giusto mantenere fino alla naturale scadenza la riforma pensioni con Quota 100, anche se preferisce chiamarla “Finestra 100”, visto che “si tratta di un intervallo di flessibilità, finito il quale ritorna la legge Fornero e la finestra si richiude”. Secondo l’ex ministro del Lavoro, “i patti che lo Stato stipula con i cittadini non vanno ripudiati quando cambiano i Governi: soprattutto perché, come in questo caso, si crea il rischio di ripetere la drammatica avventura degli esodati”. C’è in ogni caso la necessità di “progettare fin d’ora una soluzione di flessibilità strutturale del sistema pensionistico. Nella scorsa legislatura, insieme a Pierpaolo Baretta e Maria Luisa Gnecchi, ho presentato una proposta di legge, la 857 del del 30 aprile 2013, che prevedeva una uscita a partire dai 62 anni, avendone almeno 35 di contributi, con una penalizzazione del 2% per ogni anno di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia. Ragioniamoci”. Per Damiano questa può essere una buona base di partenza per evitare di tornare, “dal 2022, alla rigidità della legge Fornero e a una pensione di vecchiaia di 67 anni per tutti”.



QUOTA 100, IN VISTA SCONTRO RENZI-M5S

Si temono ripercussioni sulla manovra dopo il voto in Umbria. Già oggi è probabile che si terrà un vertice di maggioranza e secondo diversi commentatori la riforma pensioni con Quota 100 potrebbe tornare al centro di uno scontro tra Italia Viva e gli altri partner di Governo. È noto infatti che il partito di Matteo Renzi vorrebbe cancellare la misura per utilizzare le risorse su altri fronti, specie le famiglie, evitando anche che ci siano tasse e balzelli come quelli sulla plastica. Il Sole 24 Ore riporta però le parole di Luigi Di Maio, secondo cui “questa misura rimarrà intatta. Ma in svariate circostanze è stata messa in discussione, generando confusione anche tra la gente”. Resta da capire quale sarà a questo punto la posizione del Pd sul tema. È noto che Tommaso Nannicini ha chiesto di passare da Quota 100 a Quota 92, una sorta di Ape social rafforzata, mentre Cesare Damiano è tra quanti ritiene che Quota 100 non vada cancellata per non correre il rischio di creare un nuovo caso esodati.

QUOTA 100, LA CONVENIENZA PER LE IMPRESE

Un lettore di Avvenire evidenzia, in una lettera al direttore, un aspetto poco considerato nel dibattito sulla riforma pensioni con Quota 100. “Come sempre, quando si parla di pensioni, sembra si tratti di una questione che riguarda esclusivamente i pensionati e non anche le aziende private o le strutture pubbliche da cui dipendevano. Tanti mettono in discussione che Quota 100 abbia agevolato l’assunzione in pianta stabile di nuovo personale, ma se anche ci fossero state nuove assunzioni, il costo dei dipendenti che hanno preso il posto dei pensionati è uguale o inferiore rispetto a quelli che se ne sono andati?”, scrive Giuseppe Barbanti da Mestre. Nel rispondere alla lettera, Francesco Riccardi ricorda che Quota 100 ha un costo notevole per i giovani, ma che non conviene cancellarla. Piuttosto “i due anni che mancano alla fine della sperimentazione di Quota 100 possono essere un tempo utile per riordinare i tanti strumenti esistenti (opzione donna, Ape sociale…) e decidere finalmente quale flessibilità sia sostenibile per noi lavoratori e per il nostro sistema previdenziale”.

I COSTI PER I GIOVANI

In un articolo dedicato alla riforma pensioni, pubblicato su L’Economia, l’inserto del Corriere della Sera, Mauro Marè evidenzia l’emergere di un conflitto generazionale in ambito previdenziale. Per evitare il peggio, dal suo punto di vista “si può pensare a uno schema pubblico (a ripartizione) di integrazione o di assicurazione (pensione di garanzia) che sia finanziato anche dalla fiscalità generale e non solo dai contributi sociali – così tutti pagherebbero. Ma al tempo stesso vanno create le condizioni di uscita parziale e graduale dal sistema pubblico, per chi avrà le risorse per accumulare per la propria vecchiaia, somme con sistemi a capitalizzazione e/o o con forme di copertura individuale. Chi può pagare per le proprie prestazioni dovrà essere chiamato almeno in parte a sostenerne il costo”. Per Marè, inoltre, è “criminale, nei confronti delle generazioni successive, andare in pensione troppo presto, visti i costi che scaricherebbe sui giovani. Per cui va ripensata l’età di pensionamento rendendola anche flessibile, in alcuni casi, e adattandola alle esigenze individuali e al tipo di lavoro, ma garantendo la sostenibilità del sistema – adeguata proporzione tra tempo di lavoro e pensione”.

RIFORMA PENSIONI, GLI EFFETTI DI QUOTA 100

Si è parlato molto degli effetti della riforma pensioni con Quota 100 nella Pubblica amministrazione e la Fp-Cgil Marche evidenzia che nella regione da gennaio a settembre sono state “4.125 le domande di pensionamento presentate dai dipendenti pubblici di cui 1525 con Quota 100”. Per il Segretario generale Matteo Pintucci, “così si rischia il collasso di tanti servizi, nella sanità come negli enti pubblici”, anche perché “l’effetto di quota 100, non essendo stato controbilanciato da idonee misure d’inserimento di personale, esaspererà la già drammatica situazione degli organici di molte pubbliche amministrazioni nella regione”. Per quanto riguarda la sanità, tra i medici “si stimano uscite per pensionamento di 107 unità l’anno nel quinquennio 2016/2020 e 157 uscite l’anno per il successivo quinquennio, 2020/2025 con un grosso impatto sui servizi territoriali e sul sistema dell’emergenza urgenza. Non va meglio per il personale sanitario addetto alla riabilitazione, infermieristico, tecnico e di vigilanza/ispezione dove quota100 ha prodotto  oltre 600 cessazioni di cui oltre 400 del personale infermieristico”.

PROBLEMI NON SOLO NELLA SANITÀ

Per Pintucci, “la situazione ancora più grave è nelle amministrazioni sottoposte a regime di limitazione delle assunzioni come il comparto delle funzioni centrali (Ministeri, Enti Pubblici non economici, Agenzie Fiscali)”. Rischiano rallentamenti dell’attività anche il settore dei trasporti e quella della giustizia. Per questo per il sindacalista “occorre un piano straordinario d’investimento in riqualificazione del personale e di nuove assunzioni dando priorità alle funzioni fondamentali dello Stato e alla Sanità pubblica”.