Uno straripante Claudio Durigon, messo a far la guardia al bidone di quota 100 al ministero del Lavoro, tuona sulle agenzie contro chi osa mettere in discussione il contributo delle misure leghiste (ormai bisogna usare questa attribuzione dopo che il viceministro Stefano Garavaglia ha affondato il reddito di cittadinanza caro agli ex alleati) in materia di pensioni. “L’occupazione da aprile a giugno 2019 ha registrato una crescita consistente rispetto ai tre mesi precedenti (+0,5%, pari a +124 mila unità). Inoltre, sempre a giugno, il tasso di disoccupazione – rincara Durigon – è sceso finalmente a 9,7%. Un grande risultato reso possibile solamente grazie a Quota 100, considerato che il nostro Paese ha attraversato un periodo di crescita prossimo allo zero. Chi quindi oggi afferma il contrario non è onesto né intellettualmente né soprattutto, cosa più importante, con gli italiani. È solo grazie allo sblocco del mercato in uscita – prorompe il sottosegretario – che siamo riusciti a far diminuire il tasso dei disoccupati, non solo nel suo totale ma soprattutto nei giovani, passati al 28,1% con 45 mila unità che hanno iniziato finalmente a lavorare. I dati Istat dello scorso 30 luglio parlano chiaro: Quota 100 insieme ad Opzione Donna e Ape social, nonostante una situazione economica non favorevole, sta dando risposte importanti in termini di occupazione e ricambio generazionale del mondo del lavoro. È evidente che chi oggi utilizza dati del 2018, quando Quota 100 non c’era, è in malafede o ignorante”. Come dire: “E giusto al fin della licenza io tocco”. Con chi se la prende Claudio Durigon?
Non saremmo certo noi a mettergli in bocca parole che lui non ha usato; ma è forte il sospetto che il suo malumore derivi da recenti studi sugli effetti di quota 100 (e dintorni) non proprio lusinghieri. Uno di questi potrebbe essere la ricerca elaborata dalla Fondazione Studi dei consulenti del lavoro che di tutto può essere accusata tranne che di malafede o di ignoranza. Secondo le stime della Fondazione, che si avvale anche di studi di altri istituti (come l’Upb) sul fronte del ricambio generazionale solo un giovane under 30 ogni tre pensionati in quota 100 entrerà stabilmente nel mondo del lavoro. “Con la sostituzione di questi pensionati – ha commentato il presidente Rosario De Luca – prevediamo una percentuale di turnover pari al 37%. Un dato che, ovviamente, potrebbe essere superiore se mutassero le condizioni di mercato e quindi le aziende avessero maggiori esigenze di assumere”.
Secondo la Fondazione, nel suo complesso, l’operazione è in perdita, perché dove c’erano tre occupati ora ce ne è uno solo (anche se giovane). Basandosi sui dati tratti dall’udienza informale dell’Ufficio parlamentare di bilancio del 5 marzo scorso, la Fondazione Studi ha prodotto alcune stime sul tasso di sostituzione di quei lavoratori che quest’anno raggiungono i requisiti necessari per andare in pensione anticipatamente. Secondo queste stime, accederanno a Quota 100 circa 63 mila autonomi (20%), 94 mila dipendenti della Pubblica amministrazione (30%) e 157 mila lavoratori del settore privato (50%).
La Fondazione ha analizzato, in particolare, lo storico del turnover calcolando le uscite per pensionamento per anno e gli ingressi permanenti nel mondo del lavoro (contratti a tempo indeterminato e apprendistato) di giovani con meno di trent’anni. Quasi due prepensionamenti su tre interesseranno aziende del nord Italia (36,6% nord-est e 26,5% nord-ovest), ai quali si aggiungerà un 20,6% di prepensionamenti nelle regioni del centro Italia. Ancora più specifici, secondo la stima, sono i tassi di sostituzione per grandi ripartizioni: per quanto riguarda i lavoratori autonomi a 62.800 in uscita subentreranno 12.560 in entrata (con particolare riferimento ai casi in cui saranno i figli o parenti a rilevare l’attività economica del pensionato); nella Pubblica amministrazione al posto di 94.200 pensionati entreranno 9.420 nuovi assunti; nei settori privati 157mila uscenti saranno sostituiti da 94.200 nuovi assunti. In totale 116.180 under30 prenderanno i posti lasciati scoperti da 314mila lavoratori (appunto un tasso di sostituzione pari al 37%).
Ci sono poi altre considerazioni – meno entusiastiche di quelle di Durigon – per quanto riguarda il tasso di disoccupazione. Secondo Claudio Negro (nel rapporto periodico di Itinerari previdenziali e della Fondazione Anna Kuliscioff) è necessaria qualche riflessione più approfondita: “Altro trend da rimarcare, anche perché molto ‘celebrato’ da politica e media – scrive Negro – è la diminuzione del tasso di disoccupazione (9,7%), in particolare di quella giovanile (28,1%, in diminuzione dell’1,5%), cui si affianca il nuovo record di tasso occupazionale (59,2%). In entrambi i casi, si tratta tuttavia di dati da prendere opportunamente con le pinze. Il tasso di occupazione – ricorda Negro – si calcola infatti rapportando il numero di occupati alla popolazione, la quale nel 2018 è calata dello 0,2% e continua tuttora a calare, determinando l’effetto statistico di un aumento del numeratore del rapporto. Analogamente, la decrescita della popolazione giovanile (15-24 anni) è determinante nel diminuire il tasso di disoccupazione di questa fascia, diminuzione che però ‘si scarica’ su quella successiva, la cui disoccupazione aumenta infatti dello 0,3%. La lieve discesa (-0,1%) della disoccupazione totale risente dunque del combinato disposto del calo della popolazione e della granitica invarianza del tasso di inattività (persone che non lavorano e non cercano lavoro)”.