L’ultimo monitoraggio rilasciato dall’Inps sull’andamento delle domande di pensioni anticipate inoltrate nel corso del 2019 (Quota 100, pensione anticipata senza adeguamento della aspettativa di vita, opzione donna, lavoratori precoci e Ape social) consente di fare alcune riflessioni interessanti sul funzionamento dei provvedimenti e sui comportamenti dei potenziali beneficiari.



Una prima riflessione sulla riforma pensioni viene stimolata dal numero delle domande inoltrate, largamente al di sotto di quelle stimate per le  risorse finanziarie  messe a disposizione della Legge di stabilità, soprattutto per le domande per Quota 100 (145mila rispetto alle 290mila ipotizzate), e  complessivamente pari a 280mila domande  rispetto alle circa 600mila originariamente previste  per tutto il 2019.



Un andamento ridotto, soprattutto se si tiene conto che nel primo stock delle domande presentate sono comprese quelle dei lavoratori che avevano già maturato i requisiti di quota 100 negli anni recenti (infatti più della metà delle richieste è stata avanzata da over 63 anni). Dati che autorizzano il ministero dell’Economia a stimare un potenziale risparmio di 1,3 miliardi di spesa per il 2019, e di oltre 5 miliardi nel triennio sui costi del provvedimento in questione.

Come possiamo interpretare questo divario tra previsioni e andamento reale? Una prima considerazione riguarda i potenziali beneficiari di Quota 100, che sono in gran parte persone che lavorano nelle medie grandi aziende, della manifattura e dei servizi, e della Pubblica amministrazione, come confermato anche dal campionamento delle domande effettivamente presentate. Con una quota significativa, circa 25mila, di lavoratori autonomi, artigiani e commercianti che peraltro sono esentati dal divieto di poter svolgere un’attività lavorativa anche da pensionati.



Diversamente dai loro colleghi  delle piccole aziende, dei servizi, dell’edilizia e dell’agricoltura, questi lavoratori possono beneficiare di una relativa sicurezza lavorativa. Ovvero di poter decidere con meno affanno sulla tempistica del proprio pensionamento. Assai probabile che nelle condizioni evidenziate, buona parte dei potenziali beneficiari abbia valutato gli effetti dell’anticipo di pensionamento sul valore della pensione. Tre o quattro anni di contributi in meno, possono comportare perdite pari all’8-10% del valore della  rendita.

Sintetizzando in merito alla riforma delle pensioni, la concreta attuazione del provvedimento mette in rilievo tre conseguenze che erano ampiamente prevedibili:

1) Quota 100 non risponde affatto ai bisogni dei lavoratori anziani in condizioni di difficoltà nel mercato del lavoro, semmai rappresenta un’ulteriore, e poco giustificata, opportunità di uscita per quelli che hanno migliori condizioni di conservazione del posto di lavoro;

2) la legge Fornero non ha soltanto allungato l’età pensionabile, ma con l’introduzione del contributivo pro quota consente anche di migliorare significativamente gli importi finali delle pensioni. E, fatti i conti, se ne stanno accorgendo anche i lavoratori;

3) le risposte ai problemi dei lavoratori anziani disagiati, migliorando la normativa sui lavori usuranti e per quelli che perdono il lavoro in età avanzata, avrebbe prodotto risultati più efficaci e a minor costo.

In buona sostanza, il comportamento dei lavoratori sta manifestando quel buon senso che è mancato ai nostri legislatori quando hanno adottato il provvedimento. Difficile negare che la legge Fornero abbia provocato un generale malcontento nel mondo del lavoro, ma, al dunque, la toppa si sta dimostrando peggiore del buco. Del resto, se il Governo è costretto a utilizzare i soldi non spesi per Quota 100 e per il reddito di cittadinanza, per evitare la procedura di infrazione per lo sforamento dei conti provocato da Quota 100 e dal reddito di cittadinanza, qualcosa non ha funzionato.