Claudio Durigon è il sottosegretario a cui è affidato il futuro delle pensioni degli italiani, nel Governo Meloni. In un’intervista a Repubblica ha messo le carte in tavola: il 2024 sarà l’anno della riforma. Durigon non sembra prestare molta attenzione al fatto che tocchi a lui trovare un rimedio ai danni di cui fu protagonista in prima linea ai tempi del Governo giallo-verde, quando gli interventi sulle pensioni erano finalizzati a un ricambio anziani/giovani che non ci fu nella misura prevista e propagandata.



Passato il triennio di “sperimentazione” di Quota 100, quelle ulteriori hanno man mano mutato di segno fino a diventare – con la revisione di Quota 103 contenuta nella legge di bilancio per l’anno in corso – non già un incentivo, ma un pesante disincentivo al pensionamento anticipato. Si ha l’impressione che alla Lega e al suo leader sia sufficiente giocare il numero 41 nel lotto della politica, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze sull’importo del trattamento. Quota 41 diventa una possibilità di scelta nell’ambito di una riforma che deve durare almeno dieci anni, ma – Durigon lo esplicita con chiarezza – sarà operante per chi sceglie quest’opzione il ricalcolo contributivo.



A questo punto sarebbe opportuno regolare il traffico tra ciò che è già in vigore, magari da anni, e la nuova “possibilità di scelta”. L’ordinamento ha introiettato tante vie d’uscita da somigliare a una groviera. Cominciamo dai c.d. quarantunisti ovvero da quei soggetti i quali essendo in grado di far valere almeno 12 mesi di contribuzione prima dei 19 anni di età possono in presenza di condizioni personali e famigliari di disagio andare in quiescenza sulla base del sistema misto. Dobbiamo arrivare alla conclusione che la nuova Quota 41 con annesso ricalcolo riguarda quei soggetti che non sono in grado di fornire una “giusta causa” per avvalersi del requisito contributivo di 41 anni? Ma vale la pena di prevedere un vero e proprio menù di forme di pensionamento?



C’è poi da semplificare l’ingorgo determinato dalla nuova Quota 41 con ricalcolo, Quota 103 con ricalcolo, vincoli e tetti, nel 2024 e il pensionamento anticipato ordinario senza alcun limite e con il calcolo misto fissato a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e a un anno in meno per le donne che, dal 1° gennaio 2025, tornerà a fare i conti con l’aggancio automatico all’incremento dell’attesa di vita. Durigon nell’intervista si vanta del blocco che fu opera delle misure del Governo Conte 1, ma non dice se e come varrà ripristinato il meccanismo in sonno da anni, nonostante la sue essenzialità nel garantire un certo equilibrio del sistema. Bontà sua Durigon avverte che «il tema dell’aspettativa di vita va valutato con attenzione», una considerazione che secondo il sottosegretario dovrebbe valere anche per il trattamento di vecchiaia a 67 anni. Durigon, poi, afferma che la Lega è sempre stata favorevole al ricalcolo nel caso di pensionamento anticipato; il che è vero solo in parte perché effettivamente nella passata legislatura Durigon fu il primo firmatario di un pdl in tal senso. Ma i buoi erano già fuggiti dalla stalla con Quota 100 quando magari avrebbe aiutato un’associazione col ricalcolo. Comunque risponde a verità che, strada facendo, il ricalcolo si effettuerà su di una quota di pensione sempre più piccola poiché dall’1 gennaio 2012 – grazie alla riforma Fornero – a tutti i lavoratori si applica il sistema misto. Ma il cammino dell’uniformità di calcolo è ancora lungo e soprattutto continua il vantaggio per chi andrà in pensione nei prossimi anni.

Poi nell’intervista il plenipotenziario di Salvini sottolinea l’esigenza di trovare dei criteri stabili per la rivalutazione delle pensioni a superamento delle continue manomissioni a cui è sottoposto a opera di tutti i Governi il meccanismo classico previsto. Ma la questione chiave viene allo scoperto quando alla domanda di Valentina Conte “Quanti lavoratori arrivano a 41 anni di contributi? Non i giovani”, Claudio Durigon risponde: «La flessibilità previdenziale non si può pensare sotto i 41 anni di versamenti. Aiuteremo i giovani e le imprese a coprire buchi di carriera e recuperare gli anni della formazione con incentivi. Promuoveremo anche la previdenza integrativa. L’urgenza vera è il mismatch, le imprese che cercano profili e non li trovano». L’obiettivo dei 41 anni come colonna della riforma – a parte le incongruenze che abbiamo denunciato – rimane difficilmente raggiungibile per le generazioni che entreranno nel mercato del lavoro, mentre le loro condizioni complessive (aspettativa di vita, età di accesso a un lavoro stabile, retribuzione, ecc.) renderebbero “normale” e sostenibile un’età pensionabile più elevata che diventerebbe anche una condizione per una maggiore adeguatezza del trattamento, dal momento che i coefficienti di trasformazione nel calcolo contributivo sono ragguagliati all’età in cui si effettua il pensionamento.

Infine, Durigon presenta una sorta di resa della Lega nei confronti della riforma Fornero: «Per cancellarla servirebbero enormi risorse. L’abbiamo corretta con le salvaguardie e svuotando i bacini con le Quote. Con la riforma che faremo e con il peso via via minore delle pensioni retributive, anche quella legge morirà». Il classico caso di colui che si siede lungo il fiume ad aspettare che transiti il cadavere del nemico. Per dirla col poeta: “Questo di tanta speme ora mi resta”…

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