RIFORMA PENSIONI. Il Presidente dell’Inps Pasquale Tridico è sicuramente una persona dalla mente vivace. Ogni occasione per lui è buona per lasciare a bocca aperta coloro che lo ascoltano o lo leggono. Partecipando al Festival del Lavoro, che si è svolto a Bologna nei giorni scorsi, ha spiegato: “C’è da fare un intervento importante che ovviamente necessita di risorse importanti, quello della copertura di quel periodo formativo su base contributiva in modo che si possa, come avviene in Germania, riscattare la laurea in modo gratuito”. E ha aggiunto che, secondo l’Inps, la misura potrebbe costare circa quattro miliardi l’anno.
Non è facile comprendere la logica di una proposta siffatta. Tridico sostiene che il riscatto gratuito (un vero e proprio ossimoro) favorirebbe l’impegno dei giovani nello studio, in un Paese che ha un numero di laureati inferiore a quello di altre più progredite nazioni. C’è però una questione che Tridico non spiega. Per le famiglie i costi necessari a far conseguire quel titolo di studio ai propri figli potrebbero essere definiti come costi correnti, compensabili, unicamente, attraverso un assegno più elevato quando i figli, dopo una vita di lavoro, andranno in pensione. Ergo, la misura finirebbe per agevolare i settori più abbienti della società. L’ultimo Rapporto di AlmaLaurea conferma questa considerazione: “Ponendo a confronto il contesto familiare di provenienza – si legge – si evidenzia un aumento al Nord della quota di laureati con famiglie con un solido background socio-economico e culturale (classe sociale elevata e almeno un genitore laureato), rispetto alla relativa distribuzione per diploma di scuola secondaria di secondo grado, e uno speculare calo nella ripartizione meridionale: in sostanza, nel passaggio tra il diploma e la laurea il Nord “guadagna”, a scapito del Mezzogiorno, capitale umano con un retroterra culturale ed economico più favorito”.
Poi è bene non dimenticare che, per quanto riguarda il riscatto della laurea, il Paese “ha già dato”. Nella legge di bilancio 2019 (quella della festa sulla terrazza di palazzo Chigi) erano contenuti dei benefici particolari per il riscatto della laurea, un’opzione, introdotta nella legge n.153 del 1969 e, più recentemente sottoposta a modifiche. All’inizio – e per molti anni – l’ammontare dell’onere da versare per il riscatto (in tutto o in parte) degli anni della laurea e del dottorato era calcolato sulla base del reddito di cui il soggetto disponeva al momento della relativa domanda. Pertanto era conveniente attivarsi già all’inizio della carriera lavorativa. In seguito queste disposizioni sono state migliorate consentendo anche ai genitori di farsi carico – con il medesimo regime fiscale – del riscatto del titolo dei figli. Con le nuove disposizioni il riscatto diventa meno oneroso per i beneficiari entro il limite dei 45 anni di età e in regime contributivo. È stato calcolato, per tale riscatto, un onere di 5.241,30 all’anno.
Tale importo deriva da una particolare (e un po’ stramba) operazione prevista nel decreto: si fa riferimento al minimo imponibile contributivo di commercianti e artigiani, a cui si applica l’aliquota prevista per i lavoratori dipendenti. Pertanto, applicando l’aliquota del 33% sul minimo imponibile di 15.882,81 euro, previsto per il 2019, si determina l’importo di 5.241,30 euro, uguale per tutti e per ogni anno di studio che si intende riscattare.
La Fondazione dei consulenti del lavoro ha sviluppato alcuni esempi. Un lavoratore con il regime contributivo, che guadagna 40mila euro, avrebbe pagato, con le regole previgenti, circa 13.200 euro l’anno, mentre se chiede il riscatto ora pagherà il 60% in meno. Se si considera un lavoratore con il regime contributivo il riscatto sarebbe costato 9.900 euro l’anno con un reddito di 30mila euro, 14.850 euro con un reddito da 45mila euro, 19.800 euro con un reddito di 60mila euro. Questi importi danno la dimensione del risparmio. In pratica il riscatto varierebbe tra i 15 mila euro di una laurea breve ai 25 mila di un corso di laurea completo. Il risparmio sarà maggiore quanto più sarà elevata la retribuzione percepita.
Le mie considerazioni non escludono che si debbano aiutare i giovani: sicuramente quelli di oggi e di domani, ma anche quelli che lo sono stati, in un passato prossimo, magari con poco tutele di carattere previdenziale. Ma non avrebbe senso favorire il conseguimento di una laurea con un ritardo di decenni dalla sua acquisizione. La strada potrebbe essere diversa e uguale per tutti a prescindere dal titolo di studio. I primi iscritti alla Gestione separata col calcolo contributivo versavano i contributi sulla base di aliquote molto basse (all’inizio pari al 10%). Si potrebbe prevedere per un certo numero di anni un incremento convenzionale dei coefficienti di trasformazione per migliorare il montante contributivo. Infatti, la differenza principale tra il calcolo retributivo e quello contributivo sta proprio nel fatto che i versamenti accreditati nel secondo metodo di calcolo servono tutti a determinare il livello delle pensione, mentre nel retributivo gli anni precedenti agli ultimi dieci “fanno numero” per stabilire l’anzianità di servizio, ma sono ininfluenti della determinazione della retribuzione pensionabile.
Un’ulteriore ipotesi – correttiva della proposta di Tridico – potrebbe riguardare un trattamento favorito per recuperare dal punto di vista contributivo gli anni di studio nelle varie tipologie del sistema duale, che consente di proseguire gli studi fino alla laurea e al dottorato di ricerca in concomitanza con esperienze di lavoro.
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