RIFORMA PENSIONI. Da quando è stato nominato presidente dell’Inps, il prof. Pasquale Tridico è stato più volte sottoposto a dure critiche, che si sono accentuate in conseguenza della linea di condotta dei vertici dell’Ente nella gestione dei provvedimenti decisi dal Governo per contrastare l’offensiva scatenata della pandemia. Vi sono state numerose polemiche contro i ritardi riscontrati nel rendere disponibili le risorse stanziate, a cui si sono aggiunte le critiche ad alcune situazioni specifiche. Oltre alla telenovela degli ammortizzatori sociali che non arrivavano mai in tempo, ha sollevato un significativo dibattito l’andamento delle misure assunte nel campo delle pensioni, quando, con l’avvento del nuovo Governo, si è posto all’ordine del giorno (per poi predisporne la conferma) la disciplina sperimentale e transitoria di quota 100 e dintorni.



Su questi interventi è stata tratta da tempo – per quanto riguarda il 2019 – una valutazione complessiva che neppure i sostenitori di ieri e i difensori di oggi sono in grado di smentire: a) l’effetto-ricambio sull’occupazione è stato molto modesto, assai inferiore alle aspettative; b) il numero delle adesioni è stato al di sotto delle stesse previsioni contenute nella Relazione tecnica per una quota pari al 50% nel pubblico impiego e al 15% nei settori privati. In proposito, occorre rammentare che la maturazione dei requisiti (62 anni di età e 38 di anzianità) entro il 31 dicembre 2021 consente di esercitare il diritto al pensionamento anche in un momento successivo la data di scadenza della deroga.



L’Inps, nel XIX Rapporto per il 2019 presentato nei giorni scorsi, ha arricchito il monitoraggio in materia dedicandovi un focus specifico, addentrandosi anche, per quanto possibile, nei dati dell’anno in corso. Al 31 dicembre 2019 sono pervenute all’Istituto circa 229mila domande di pensione quota 100 di cui circa 75mila relative al settore pubblico e 154mila al settore privato. In particolare, i pensionati con domanda accolta al 31 dicembre 2019 sono stati 150.253 (36.872 donne e 113.381 uomini). Di essi il 72% è stato liquidato nelle gestioni del settore privato (108.058) e il 28% in quelle del settore pubblico (42.195). Le donne sono circa un quarto del totale dei pensionati e raggiungono il 50%, equiparandosi ai maschi, nel settore pubblico. Per quanto riguarda l’età dei pensionati calcolata alla fine del 2019, si osserva che nel settore pubblico in media è leggermente più elevata per entrambi i sessi, e che le pensionate sono, seppure in misura limitata, un po’ più giovani dei pensionati uomini.



Età media alla decorrenza del trattamento per pensionati ”quota 100” con domande accolte al 31.12.2019 settori privati donne: 63,7; uomini: 63,8; totale: 63,8 settori pubblici donne: 63,8; uomini: 64,0; totale: 63,9 età media complessiva donne: 63,8; uomini: 63,8; totale: 63,8

Nel Focus risulta che i pensionati “Quota 100” che provengono da una posizione contributiva attiva nel 2019 sono stati 65.657 del settore privato e 42.408 del settore pubblico e rappresentano complessivamente il 71,9% del totale. Il restante 28,1% dei “quotacentisti” è entrato nella condizione di pensionato da non-attivo, di cui l’8,6% (12.875) come beneficiario di prestazione a sostegno del reddito e il 19,5% come silente; di questi ultimi 1.861 hanno versamenti di contributi volontari, figurativi, riscatto nel 2019. L’analisi è molto importante perché da essa, in linea di massima, si deduce che oltre il 70% dei ”quotacentisti” non aveva la necessità di andare in quiescenza essendo tuttora attiva sul mercato del lavoro, mentre per la restante parte il pensionamento consentiva di superare uno stato di mancanza di reddito da lavoro.

Si fa presente che dei 80.393 “quotacentisti” del settore privato in attività nel 2019, 47.337 (il 59%) provengono da 26.706 aziende private non agricole, che vengono di seguito analizzate. La distribuzione per settore di attività economica delle aziende attive private non agricole nel 2019, sia totali sia con “quotacentisti”, evidenzia che il 53,3% di aziende con “quotacentisti” si concentra nei settori delle Attività manifatturiere e del Commercio; la stessa quota riferita invece alle aziende totali è pari a 37,7%. Si evidenzia che in questi due settori di attività economica si concentra il 46,5% di tutti i pensionati “quotacentisti”; aggiungendo anche il settore Trasporto e magazzinaggio, tale percentuale arriva al 62,9%. 

La Lombardia e il Piemonte risultano le regioni con la maggiore componente privata (rispettivamente 82% e 80%), e la Calabria e la Sicilia quelle con il valore più basso (56% la prima e 60% la seconda). Per quanto riguarda la maggiore presenza femminile, il primo posto è occupato dalla Valle d’Aosta, seguita dalla Calabria (rispettivamente con il 31% e il 30% di donne), e nelle ultime posizioni si collocano la Lombardia con il 21% di donne e la Puglia, il Lazio e la Campania con il 23%. La differenza tra la quota di pensionati provenienti dalle gestioni pubbliche rispetto a quelle di tipo privato, si può osservare analizzando il rapporto di coesistenza tra la numerosità dei pensionati pubblici e quelli privati a livello provinciale. Il valore medio nazionale di questo rapporto è 0,39 e, come si evidenza nella successiva figura i valori più elevati sono maggiormente presenti nelle province del Centro e del Mezzogiorno.

Considerando infine le domande di pensione “Quota 100” pervenute, al netto delle respinte, nel 2020 da gennaio ad agosto si sottolinea che la crisi epidemiologica di inizio anno non ha evidenziato una scelta dei lavoratori più anziani ad anticipare l’uscita dal mondo del lavoro; infatti in questi mesi di crisi non si registrano variazioni sostanziali del trend delle domande di pensioni “Quota 100”. Dopo i primi mesi del 2019 in cui si è assistito a una richiesta più forte di esse, dovuta alla presenza di varie generazioni di soggetti che maturavano i requisiti, le domande si possono considerare stabili e anche per il 2020 si conferma l’utilizzo parziale degli aventi diritto come accaduto nell’anno 2019.

Tale scelta, che – osserva malignamente il Rapporto – non rispecchia le aspettative del policy maker ovvero di quelle forze politiche cha hanno preteso la norma, potrebbe essere dettata dalle condizioni di lavoro in smart working, soprattutto nella Pubblica amministrazione e dall’utilizzo della cassa integrazione nel settore privato. Infatti, in tale situazione i lavoratori sembrano ritenere – secondo il Focus – più opportuna e conveniente la loro permanenza nel mondo lavorativo, in modo da poter ottenere una futura pensione con un importo più elevato. I dati di adesione di “Quota 100” (riassunti nel grafico più in basso) mostrano che non tutti lavoratori che raggiungono i requisiti per il pensionamento anticipato decidono per un ritiro dal mondo del lavoro, che sarebbe in questo caso anche definitivo (almeno fino all’età di vecchiaia), dal momento che la norma vieta il cumulo con i redditi da lavoro.