RIFORMA PENSIONI, SLITTA LO SCUDO SUI MONTANTI CONTRIBUTIVI
Durante l’ultimo incontro tra Governo e sindacati sulla riforma pensioni era emersa la volontà da parte dell’esecutivo di inserire nella Legge di bilancio una misura volta a impedire che il calo del Pil andasse a impattare sulla rivalutazione dei montanti contributivi. Secondo quanto scrive Il Sole 24 Ore, però, alla fine nella manovra potrebbe non esserci questo provvedimento, il cui costo è stato calcolato in circa 3 miliardi di euro fino al 2023, con oneri maggiori negli anni successivi. “A parere di molti esperti del Governo, a cominciare da quelli del Mef, il problema dell’impatto sulla recessione sugli assegni pensionistici non si porrebbe prima del 2022 (e neppure con certezza)”, spiega il quotidiano di Confindustria. Di fatto basterebbe utilizzare il meccanismo di salvaguardia varato ai tempi del Governo Renzi per evitare il peggio.
IL RINVIO DI UN ANNO
Secondo i tecnici del Governo, tale meccanismo garantirebbe i coefficienti di rivalutazione del montante contributivo di quanti andranno in pensione l’anno prossimo e quindi ci si dovrebbe porre il problema di varare una nuova clausola solo dal 2022, anno in cui dovrebbe anche entrare in vigore la misura sostitutiva di Quota 100 cui il Governo e sindacati intendono lavorare prossimamente. Di fatto si potrebbe quindi varare un unico pacchetto sulla previdenza l’anno prossimo e tale rinvio, spiega Il Sole, “eviterebbe anche di mettere in allarme a Bruxelles, sempre vigile sull’andamento della nostra spesa pensionistica”. Vedremo se effettivamente ci sarà questo rinvio o meno.